Nella notte tra 16-17 aprile 1560 scoppiò un grande incendio nella chiesa del convento di San Francesco. Furono salvate dalle fiamme le ancone e i paliotti degli altari e la miracolosa immagine del Crocefisso. Il giorno 27 aprile guastando ciò che era rimasto dell'altare maggiore, nella cavità del muro, si scorse il corporale da un lato e la S.S. Eucaristia dall'altro.
"Il 27 dello stesso mese di aprile il diletto figlio Battista di Ascoli, di quell'ordine, che aveva avuto l'incarico, insieme ad un altro confratello dal guardiano di quel convento, di ripulire quell'altare dalle macerie (uomo, come abbiamo saputo anche da altri testimoni degni di fede, che nel precedente sabato Santo, celebrando in quello stesso altare, aveva consacrato la Sacrosanta Eucaristia, e l'aveva riposta in quello stesso tabernacolo e vaso; questi era nato da genitori ebrei, e ancora fanciullo, illuminato dalla grazia divina, si era convertito alla vera fede di Cristo, dalla cecità e perfidia giudaica e poi entrato nel predetto Ordine, e con il suo esempio, la sua dottrina, e la persuasione aveva convertito alla fede Cattolica altri 22 Ebrei, il Padre Battista, accintosi a quell'opera , salito sull'altare, tentando così di rimuovere un grande frammento di marmo, che ra stato spaccato dalla violenza del fuoco, abbassando gli occhi , vide nella cavità del muro, prima coperto da quel frammento, la Sacra Ostia, e spaventato dal grande stupore, e implorando con tante lacrime la misericordia di Dio, gridò al miracolo…"
(dalla Bolla del Papa Pio VI , "Sacrosanta Romana Ecclesia" in data 19 settembre 1560, ad perpetuam rei memoriam)
Il Papa Pio IV, saputa la notizia, inviò il vescovo di Bertinoro (allora Diocesi, Brittinorien -sis- eretta nell'anno 1360, unita nel 1986, alla Diocesi di Forlì, suffr. di Ravenna-Cervia NDR), Mons. Lodovico Vannino da Forlì, a verificare la novità del fatto miracoloso. Il Papa si era espresso "costantemente vigile perché non si creda mai a falsi miracoli" ma anche "impegnato a sostenere con ogni mezzo e con tutta la forza i decreti sull'Eucarestia" vista la concomitanza con il Concilio di Trento, 1545 - 1563, e la rinnovata rigidezza nei confronti degli episodi miracolosi, guardati con aumentata rigidezza da parte della Santa Sede. Dichiarata l'autenticità di quanto accaduto il Papa con la bolla "Sacrosanta Romana Ecclesia" in data 19 settembre 1560, giudicò l'avvenimento vero, inoltre concesse l'indulgenza plenaria a quanti avessero visitato la chiesa e baciato le Sante Reliquie nei giorni ricorrenti l'evento. La Santa Eucaristia fu riposta in una cassetta ornata d'avorio, ora si trova nella sagrestia della Collegiata di San Bartolomeo Apostolo, ma non vi è più l'Ostia miracolosa. Sembra che non si conservasse più nella prima metà del XVII secolo, perché da documenti di quell'epoca si rivela che nell'anniversario dell'incendio non si portava più in processione l'Ostia suddetta, ma solo il legno della S. Croce. Numerosi fedeli visitarono la chiesa del Convento durante l'anniversario dell'avvenimento, per cui il consiglio municipale di Morrovalle decise di ricostruire la chiesa più grande e degna, inoltre permise ai frati di inquartare lo stemma del Comune con quello del convento.
Al di fuori della cinta muraria di Morrovalle, oltrepassando Porta Alvaro e scendendo dall'altura arriviamo all'antico convento di S. Francesco, chiamato anche dei Minori Osservanti o Zoccolanti. I frati, sin dai primi tempi dell'ordine francescano, si erano stabiliti nel comune, ma avevano dapprima occupato un altro luogo, un piccolo romitorio nella contrada detta del "Coppo". Da quel convento Giordano di Aglano, legato di re Manfredi, rilasciò un diploma alla città di Montolmo insieme all'ordine di radere al suolo il castello di Petriolo. Era l'anno 1264. Veniva chiamato "Convento del Coppo" per un coppo che disciplinava il corso della fonte d'acqua ancora esistente. I frati rimasero in questo luogo fino al 1389-90, quando il comune a proprie spese edificò il nuovo convento per liberare i frati dall'ambiente insalubre dell'eremo di Fonte dell'Angelo. In mancanza di documenti non si può precisare l'anno in cui si edificò il nuovo convento, la cui fondazione si deve far risalire a parecchi anni prima del 1390. nel corso dei secoli quest'edificio subì molti restauri. Ciò che rese celebre questo convento fu il Miracolo Eucaristico come sopra descritto. Bruciò la Chiesa detta di S. Francesco, annessa al convento e tra le rovine venne ritrovati intatti: il Crocefisso, il S.S. corpo di Gesù, un Sacramento e la Santa Pisside. Dopo l'incendio la chiesa venne rifabbricata, di maggiori dimensioni col concorso del popolo e di alcune nobili famiglie di Morrovalle: Lazzarini, Collaterali, Marchetti, Morroni Mozzi, le quali posseggono ognuna un altare con sepolture gentilizie. In uno di essi fu esposto il bel Crocifisso scampato all'incendio. Il tempio fu portato a termine nei primi decenni del secolo XVII. All'origine la porta principale della piccola chiesa guardava a ponente e l'altare maggiore era posto ove ora si trova la porta della Sagrestia. Dell'antica struttura pare sia rimasta a testimonianza la torre campanaria. La chiesa a croce latina a una sola navata con un modesto transetto possedeva tredici altari arricchiti da dorature ed intagli, la pila per l'acqua santa di marmo con colonnine a balaustra, una serie di quadri tra cui quello raffiguranti "Cristo sulla Croce" con sotto S. Bernardino da Siena e altri frati dell'ordine francescano e il sorprendente affresco in cui si legge l'anno 1446 e i nomi della S.S. Vergine con S. Gregorio, S. Francesco, S. Giovanni e S. Antonio da Padova, scritti sotto le immagini intere. In mezzo la figura dell'Ecce homo e più di 50 figure in piccolo collocate intorno. Inoltre di altro autore era la bellissima effige di Maria S.S. con il Bambino con intorno due religiosi francescani. Nel 1741 scosse di terremoto danneggiarono il tempio e furono necessarie opere di restauro. Nel 1789, 93, 94, 1841 la chiesa e il convento subirono restauri sia nella pavimentazione che nell'altare maggiore.
Nel 1810 la ventata napoleonica disperse i frati e la Chiesa fu chiusa al culto. La definitiva sacrilega chiusura della chiesa e del convento ad opera del Governo Italiano. La comunità francescana ritornò nel 1825 ad operare nuovamente. Nel 1850, nel regno di Sardegna, il ministro Conte Riccardo Siccardi introduce una legge che restringe notevolmente i poteri della Chiesa cattolica, abolisce i tribunali ecclesiastici ed il diritto di asilo. Nel 1855 In Piemonte, la presentazione del progetto di legge di Urbano Rattazzi per la soppressione delle corporazioni religiose che non svolgano funzioni assistenziali o di insegnamento provoca la reazione dei vescovi ed un conflitto politico tra il re Vittorio Emanuele II ed il governo, intransigente nel difendere il progetto. Dopo le temporanee dimissioni di Cavour, che ottiene una nuova investitura, il progetto viene approvato, nonostante San Giovanni Bosco avesse supplicato il Re di non firmare la legge (1). La legge Rattazzi - Siccardi venne estesa negli altri territori che venivano annessi al regno unitario. Dopo la vittoria di Castelfidardo, con il regio laconico titolo di "Commissario Generale Straordinario per le provincie delle Marche", Cavour inviava a Senigallia Lorenzo Valerio (1810-1865), un torinese cinquantunenne "provato amico della libertà", nato da famiglia popolana, il quale da manovale s'era trasformato in "manager" con la forza di un ingegno fecondo che lo rendeva sicuro nelle decisioni e che lo aveva portato alla carica di Governatore della provincia di Como. Lorenzo Valerio dinamico e combattivo deputato della sinistra democratica, venne nominato il 22 novembre 1860, Commissario Straordinario del Governo per le Marche. Fino ad allora era stato Direttore della giornale piemontese "La Concordia", quando che si erano staccate dalla compagine direzionale della testata, le componenti più moderate ed avevano preso il sopravvento quelle più radicali. Valerio, che aveva il senso sacrale dello Stato, con decreto n. 2 del 22 settembre 1860 stabiliva senza mezzi termini la sua suprema autorità nelle Marche, licenziava le Giunte di Governo e istituiva in ogni provincia un Governatore da lui eletto, col nome di Commissario Provinciale (affiancato da un Consiglia di Commissariato composto di tre consiglieri) dal quale dipendeva il vice-Commissario dislocato nelle città principali. Introduceva subito l'exequatur, prendeva sotto personale tutela le opere pie, decideva la costruzione dei primi cimiteri regionali proibendo la sepoltura nelle chiese, aboliva le decime e "in virtù dei poteri conferitigli coi Reali Decreti 12 settembre e 24 dicembre 1860: Visto il Decreto del Governo Italico 7 maggio sulla soppressione delle Corporazioni Religiose nelle Provincie delle Marche... Presi gli opportuni concerti col governo di S.M. il Re Vittorio Emanuele II..." decretava la soppressione di tutte le Corporazioni e gli stabilimenti di qualsiasi genere degli Ordini Monastici e delle Corporazioni regolari o secolari esistenti nella Regione da lui amministrata, fatta eccezione per le "Suore di Carità, di San Vincenzo, i Missionari detti Lazzaristi, i Padri scolopi, i Fatebene-Fratelli e i Camaldolesi del Monte Catria, territorio di S. Abbondio, in memoria del soggiorno che vi fece Dante Alighieri, in compenso del culto che vi fu sempre conservato a quel sommo, e perché mantengano in quei luoghi selvaggi le abitudini dei pii uffizi, dello studio, e dell'ospitalità che li fanno desiderati in quel paese...". Poche settimane dopo il plebiscito che risultò favorevole a Vittorio Emanuele (nonostante le ben note astensioni e costrizioni), ad un mese esatto dalla presentazione a Napoli dei risultati di esso a Vittorio Emanuele, il Commissario Lorenzo Valerio, il 22 dicembre 1860 cambiò radicalmente l'assetto territoriale delle Marche emanando il decreto n. 4495: questo sopprimeva le province di Camerino e di Fermo, unendo la prima a Macerata e la seconda ad Ascoli, allora meno importante, meno popolata, meno ricca. Enorme lo scontento di Fermo e di Camerino! Un altro colpo, gravissimo, all'assetto, plurisecolare del territorio, neppure toccato da Napoleone, le cui conseguenze si fanno sentire ancor oggi. Al Regio Commissario Lorenzo Valerio va il triste merito di aver chiuso e distrutto un numero enorme di Chiese , Conventi e Monasteri ed aver disperso le opere d'arte in essi conservate. Neppure un soldo, ricavato dalla vendita degli immobili, dei terreni e delle opere d'arte, andò nelle tasche dei veri poveri marchigiani che divennero ancor più poveri, perché privati del tradizionale sostentamento che ricavavano dagli Ordini e dalle Corporazioni assistenziali. Fu un periodo tremendo per la storia della nostra Regione aggravato anche dall'epidemia di colera che si scatenò nel 1865. I frati di Morrovalle furono, quindi, cacciati di nuovo dal loro Convento e dalla loro Chiesa. Dopo diverse vicende tutto il complesso monumentale fu venduto a Luigi Canali Conte di Vallerengo. Uomo altamente antireligioso, non curò le antichità che erano nella chiesa, lasciò tutto in abbandono. Le celle dei monaci e il sacro tempio furono trasformati. La chiesa fu adattata parte in cantina e parte in rimessa. Morto il Conte Canale, il municipio ereditò i suoi beni, compreso la chiesa e il convento, che secondo la volontà del testatore doveva essere adibito ad asilo laico infantile con l'obbligo di non impartire alcun insegnamento religioso.
"Dal sorgere del sole al suo tramonto non si debbono vedere, nei pressi della mia ex chiesa, sottane nere di preti o di monache" era quanto il Conte minacciava ai suoi contadini… All'interno del convento, nel chiostro, c'è il busto del Conte Luigi Canale, opera giovanile dello scultore Cantalamessa. Per adattare e collocare l'opera nel chiostro è stato demolito un pozzetto del XVI secolo, tamponato il colonnato del chiostro rovinando la caratteristica struttura architettonica. Ora il tempio e l'ex convento sono ridotti allo sfascio, le opere pittoriche,scultoree e documentarie di eventi lontani avvenuti in questo edificio importanti per il comune di Morrovalle sono stati in parte conservati in altre strutture religiose del comune: nella collegiata di S. Bartolomeo, nella chiesa di S. Agostino. A Morrovalle nessuno osa guardare il busto del Conte, mentre , fino a pochi anni fa, gli insegnanti ed i bidelli della scuola Media, che si trovava nei locali dell'ex convento, erano soliti scappare, al calar del sole, a causa di violenti ed inspiegabili rumori…
Durante l'ultimo conflitto mondiale una donna di Morrovalle, che aveva il marito disperso in Russia, era solita pregare e piangere per le sorti del congiunto amato. In sogno il Divin Redentore volle benignamente consolare la povera donna predicendole che il marito le sarebbe ritornato incolume, "ma la mia immagine giace là, nella chiesa del Miracolo a San Francesco, sotto la paglia e la sporcizia…" La devota donna,sconvolta ma piena di fede, come le Marie, quando si recarono al sepolcro, vuoto, di Cristo,, con alcune sue amiche, fuorviando la sorveglianza del fattore, entrò nella chiesa-stalla e con sommo stupore trovò una stupenda statua lignea, di fine '600, raffigurante il Redentore morto la quale, per volere unanime dei cittadini, fu poi portata in Collegiata dove è venerata sotto una teca di vetro. La bellezza della statua e l'espressione del viso del Cristo commuovono tutti coloro che si avvicinano.
NOTA (1) Nel dicembre del 1854, mentre in Parlamento era in discussione la legge per la soppressione degli Ordini religiosi e l'incameramento dei loro beni, Don Bosco fa un sogno destinato a scatenare un vero terremoto nella famiglia reale. Un sogno così importante che don Bosco sente la necessità di informare immediatamente il Re. Invia una lettera al Re con la quale lo informa di aver sognato un bambino che gli affidava un messaggio. Il messaggio diceva: "Una grande notizia! Annuncia: gran funerale a corte". Alcuni giorni dopo, don Bosco invia un'altra lettera, visto l'atteggiamento non certo incoraggiante del Re dopo il primo avvertimento. Un altro sogno e di nuovo quel bambino che diceva: "Annunzia: non gran funerale a corte, ma grandi funerali a corte". E don Bosco invitava espressamente il Re a schivare i castighi di Dio, cosa possibile solo impedendo a qualunque costo l'approvazione di quella legge. Il Re, per la verità mal consigliato, non presta ascolto. E quanto aveva previsto don Bosco comincia inesorabilmente ad avverarsi. Il 5 gennaio l855, mentre il disegno di legge è presentato ad uno dei rami del Parlamento, si diffonde la notizia di una improvvisa malattia che ha colpito Maria Teresa, la madre del Re Vittorio Emanuele II. E sette giorni dopo, a soli 54 anni di età, dunque ancor giovane, la Regina madre muore. I funerali sono previsti per il giorno 16 gennaio. Mentre sta tornando dal funerale, la moglie di Vittorio Emanuele II, Maria Adelaide, che ha partorito da appena otto giorni, subisce un improvviso e gravissimo attacco di metro-gastroenterite. Proprio quel giorno il Re riceve un'altra lettera di don Bosco, una lettera chiara. Ecco ciò che vi era scritto: "Persona illuminata ab alto [cioè dall'alto] ha detto: Apri l'occhio: è già morto uno. Se la legge passa, accadranno gravi disgrazie nella tua famiglia. Questo non è che il preludio dei mali. Erunt mala super mala in domo tua [saranno mali su mali in casa tua]. Se non recedi, aprirai un abisso che non potrai scandagliare". Quattro giorni dopo quest'ultima lettera, la giovane moglie del Re, la regina Maria Adelaide, a soli 33 anni, muore. Era il 20 gennaio l855. Non è finita. Quella stessa sera del 20 gennaio, il fratello del Re, Ferdinando, duca di Genova, riceve il sacramento dei morenti e muore l'11 febbraio. Aveva anche lui, come la Regina, solo 33 anni. Nonostante questi avvertimenti, nonostante l'avverarsi di tutte le previsioni di don Bosco, il Re non si muove. La legge viene approvata il 2 marzo, con 117 voti a favore contro 36. In maggio la legge passa al Senato per la definitiva approvazione. Ma il giorno 17, a un passo dall'approvazione, si verifica una nuova sconcertante morte nella famiglia reale: muore il piccolo Vittorio Emanuele Leopoldo, il figlio più giovane del Re. Sempre intorno a questa legge, Messori ci ricorda, nel suo bel libro "Pensare la storia" un altro fatto straordinario, che riguarda ancora don Bosco. Nel 1855, in piena lotta della Chiesa contro la legge Rattazzi, don Bosco pubblica un opuscolo. Dapprima, il governo liberale piemontese ne decide il sequestro, che poi non viene eseguito per paura di fare pubblicità al prete di Valdocco. In quell'opuscolo don Bosco ammoniva Vittorio Emanuele II, rifacendosi a qualcuno dei suoi sogni e alle sue abituali e straordinarie intuizioni, perchè non firmasse quella legge. Scriveva testualmente don Bosco: "la famiglia di chi ruba a Dio è tribolata e non giunge alla quarta generazione". Un avvertimento grave e inquietante, ma pur sempre una profezia che oggi è facilmente verificabile, solo facendo un po' di conti. Vittorio Emanuele II muore a soli 58 anni, a quanto pare di malaria, cioè di quella febbre presa proprio a Roma dove i suoi bersaglieri erano entrati otto anni prima. Il suo primo successore, Umberto I muore 56enne a Monza, sotto i colpi di pistola dell'anarchico Bresci. Il secondo successore, Vittorio Emanuele III, scappa di notte, di nascosto, dal Quirinale, l'8 settembre del 1943 e tre anni dopo sarà costretto ad abdicare. Il terzo successore, Umberto II, fu un re "provvisorio", per meno di un mese e, perduto il referendum popolare, deve accettare un esilio senza ritorno. Come si vede facilmente, alla quarta successione, alla "quarta generazione" come scriveva don Bosco, i Savoia non sono giunti.
Il Re firmò e con quella legge ben 334 case religiose venivano soppresse per un totale di 5456 religiosi (cfr. Renato Cirelli, La Questione romana, Mimep-Docete, p. 31). Era il 29 maggio del 1855. Da Roma arrivo la "scomunica maggiore" (che può essere annullata solo dal Papa) per tutti "gli autori, i fautori, gli esecutori della legge". La scomunica andava a colpire un Re che si diceva cattolico. Pio IX, nonostante le offese, le umiliazioni e le persecuzioni subite personalmente e dalla Chiesa di cui Lui era pastore, nel 1859, su richiesta di Vittorio Emanuele, accorderà il perdono pieno e senza condizioni al Re. Fatto, questo, che ci fa comprendere la grandezza di un Pontefice che la storiografia ha purtroppo denigrato.
(Cfr. http://www.francobampi.it)
Da leggere: Germano Moroncini : Il Miracolo Eucaristico di Morrovalle, Ed. Centro Marche 1999
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