Il 4 Novembre 1918 rendeva l'anima a Dio il Principe Sigismondo Giustiniani - Bandini, Duca di Mondragone. Volle essere sepolto nella sua cara Abbazia di Chiaravalle di Fiastra accanto ai suoi amati contadini. Sua Sorella, donna Sofia Giustiniani - Bandini, sposa del Conte Gravina (1888-1977) non avendo avuto figli, in ossequio ai desideri del fratello, espressi nel testamento redatto il 15 Agosto 1917, ha istituito la Fondazione Giustiniani - Bandini con lo scopo di amministrare l'enorme proprietà che si estende in ben cinque comuni in Provincia di Macerata. Gioiello incastonato nella proprietà è l'Abbadia Circerstense di Fiastra, che dal 1985 ha nuovamente una Comunità di Monaci che ha ridato un'impronta di grande spiritualità a tutta la zona. E' doveroso, nei confronti di un così elevato spirito nobile, che ha dato tante testimonianze di generosità cristiana e civile, proporre questo bellissimo capitolo tratto dallo studio qui sotto riportato.
Nel 1857 Sigismondo si recò a Londra insieme alla moglie per raccogliere i documenti relativi a dei lasciti ereditari spettanti alla madre Cecilia Giustiniani. Per utilità del lettore ricostruiamo brevemente le complesse vicende connesse al riconoscimento dei titoli inglesi che derivarono alla famiglia e che vennero ad aggiungersi a quelli umbri dell'eredità Missini . Il 22 novembre 1739 il conte irlandese Giacomo Giuseppe Mahony, cavaliere del Real Ordine di S.Gennaro e luogotenente della Cavalleria dei Dragoni in Francia, sposò in seconde nozze a Parigi Anne Clifford, figlia del conte Thomas Clifford di Chudieigh nel Devon e di Charlotte Maria, contessa di Newburgh in Scozia, baronessa di Levingstone e viscontessa di Rinwird. La coppia, trasferitasi a Napoli, ebbe un'unica figlia, Cecilia, che il 18 inaggio 1757 andò in sposa a Benedetto Giustiniani duca di Corbara, a sua volta figlio del principe Girolamo di Bassano di Sutri e della principessa Maria Ruspoli. Dall'unione di Cecilia e Benedetto nacquero Vincenzo, Lorenzo Benedetto, Giacomo Giovanni (asceso al soglio cardinalizio), Isabella e Caterina. Alla morte della contessa Charlotte Maria, avvenuta nel 1786, la dignità di Earl of Newburgh passò al figlio Giovanni Bartolomeo, avuto in seconde nozze dall'ufficiale Charles Radclyffe che venne decapitato per lesa maestà nel 1716 per aver appoggiato gli Stuart. Giovanni Barlolomeo trasferì il titolo al primogenito Giovanni, che mori senza aver avuto prole nel 1814. Il titolo relativo alla paria di Newburgh fu trasmesso allora al primogenito di Cecilia Mahonv, ovvero Vincenzo Giustiniani, la cui unica figlia, Cecilia, il 21 settembre 1815 sposò il marchese Carlo Bandini. Acquisiti Ì titoli relativi all'eredità Mahonv ed alla conica di Newburgh, tutti gli sforzi di Sigismondo furono tesi ad ottenere il riconoscimento del titolo principesco derivantegli da parte materna. Dopo aver sostenuto una lunga ed aspra lite con il cugino Alessandro Giustiniani, egli ottenne la facoltà di fregiarsi del cognome dei Giustiniani e di farlo precedere a quello del proprio casato. Il 27 gennaio 1863 con breve del pontefice Pio IX a Sigismondo ed alla sua discendenza in linea mascolina venne riconosciuto il titolo di principe. Il 28 marzo dello stesso anno il nobile varcò la soglia del Palazzo Apostolico, dove venne ricevuto dal papa ed ossequiò gli influenti religiosi che avevano perorato la sua causa, il Cardinal Mattei, decano del Sacro Collegio Romano, ed il discusso quanto temuto Segretario di Stato Cardinal Antonelli, che aveva avuto un ruolo di non scarso rilievo nello scandalo sollevato dal processo per il riconoscimento della paternità del duca Lorenzo Sforza Cesarini. II cognome Collaterali, unito a quello dei Bandini sin dalla prima metà del XVIII secolo, fu definitivamente dimesso e sostituito da quello da Giustiniani. Nel 1893 Sigismondo venne ufficialmente iscritto nel Libro d'Oro e nell'Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana con i titoli di Principe, Nobile Romano Coscritto, Duca di Mondragone, Marchese di Lanciano e Rustano, Conte di Carinola, Conte di Newburgh, Visconte di Kinnaird, Barone di Levingstone e Hacreiaig, Patrizio di Macerata, Nobile di Camerino, Nobile di Nocera Umbra, Nobile di Norcia. Risulta piuttosto arduo ricostruire la posizione assunta dai Giustiniani-Bandini all'interno della nobiltà romana, Ugo Pesci, un memorialista del primo periodo della Roma capitale, scriveva:
"........Oltre le antiche famiglie baronali e le famiglie principesche di origine pontificia, esistevano ed esistono in Roma molte altre famiglie nobili, iscrìtte e non iscrìtte del libro d'oro del patriziato romano, di antica orìgine e provenienti da altre parti degli antichi stati della Chiesa o da altre regioni italiane, delle quali non è sempre facile fissare il colore politico, o perché miste, a perché avvicinatesi a poro a poco al nuovo ordine di cose, dopo essere, rimaste, nell'ombra. Citerò i Giustiniani-Bandini duchi di Mondragone, pari di Scozia per eredità e principi romani dal 1863..."
Fatto certo è che per la fedeltà dimostrata alla causa della Chiesa, Sigismondo fu ammesso nella ristretta cerchia del patriziato romano che il 2 febbraio 1878 si strinse intorno a Pio IX; nella camera del pontefice agonizzante vegliarono insieme a Sigismondo il principe di Sulmona, il duca dì Bomarzo, il duca di Sora ed il principe Altieri. La morte di Pio IX segnava simbolicamente il tramonto di un'epoca e delle fortune di gran parte di quella nobiltà di cui il D'Azeglio annotava sprezzantemente nelle sue Memorie:
".........il clericato, che la fece ricca, l'ebbe in sospetto e non la volle potente e, l'escluse da ogni influenza politica; spense nel lusso, ed in ozio forzato, ogni sua virtù."
Sigismondo, intuendo i profondi cambiamenti che si stavano verificando in campo economico, seppe imprimere un indirizzo innovativo alla tradizionale gestione patrimoniale. Tra il 1884 ed il 1890 rivestì la carica di presidente del Consiglio di Amministrazione della Società Anonima Acqua Pia Antica Marcia e di presidente della Cassa di Risparmio, inoltre compì vari investimenti all'estero, tra cui l'acquisto di 500 azioni della miniera inglese The Booysen I. and Mining Company. Con la sua oculata amministrazione potè riportare in attivo le tenute marchigiane, date in affitto a partire dal 1868 e rimaste esenti da ipoteche fino al 1886. Tra il 1880 ed il 1895 il principe era giunto a possedere a Roma un considerevole numero di edifici, in parte acquistati ed in parte derivanti dall'eredità Giustiniani, tra cui i palazzi Altieri, Paladini e Mignanelli, varie case in via S. Maria del Sudario ed in via De' Specchi e la cappella Bandini nella chiesa di S. Silvestro al Quirinale. Il 17 maggio 1886 acquistò dal marchese Francesco Saverio Lavaggi-Vìdoni il palazzo al corso Vittorio Emanuele che sarebbe stato per oltre dieci anni la residenza ufficiale della famiglia. L'edificio, in cui nel 1536 aveva soggiornato l'imperatore Carlo V, era stato eretto per gli Schinchinelli e prima di passare alla famiglia Vidoni era appartenuto ai duchi Caffarelli ed al Cardinal Stoppani. Sigismondo ne curò il rifacimento della facciata affidando i lavori agli architetti romani Settimi e Sansimoni. Tra i personaggi illustri che furono ospitati nel palazzo si ricorda Arthur d'Inghilterra, terzogenito maschio della regina Vittoria, in onore del quale il principe tenne un ricevimento a cui furono invitati gli esponenti di spicco della aristocrazia nera. Il primo piano del palazzo fu per vari anni affittato all'ambasciatore degli Stati Uniti Wayne Mac Vergh. Assidui frequentatori del teatro Argentina e delle feste da ballo che si tenevano a palazzo Torlonia-Chigi all'epoca in cui impazzavano i balli a waltz e del cotillion, i Giustiniani-Bandini non varcarono mai la soglia al palazzo del liberale Michelangelo Caetani duca di Sermoneta, dove per ironia della sorte è oggi conservato l'archivio di famiglia; Quasi a sottolineare la crescente distanza creatasi nell'ambito delle relazioni parentelari con le Marche in seguito alla nuova dimensione aristocratica raggiunta, tra il 1872 ed il 1881 il principe stipulò i matrimoni delle fìglie Carolina, Elena, Isabella, Maria Cecilia e Nicoletta con rampolli dell'alta nobiltà romana. Il primogenito maschio, Carlo, sposò nel 1885 la figlia del principe Don Pietro Lanza Galeotti di Trabia, Maria Luisa. Tornato da Napoli, dove ; aveva conseguito la laurea in Giurisprudenza, l'erede designato di Sigismondo fece ben presto parlare di sé nei salotti gaudenti della Belle Epoque romana. Per chi crede al temuto nomen omen degli antichi, in Carlo rivisse la libertà di spirito del nonno paterno piuttosto che la misurata ambizione di quello materno, Giuseppe Massani, che nella Sala del Capitolo dell'Abbadia di Fiastra volle lasciare il perentorio molto della sua famiglia: Parla poco, odi assai, pensa al fine di ciò che fai. Oltre ai vari duelli ed alle cause di diffamazione che lo videro protagonista, un episodio in particolare contribuì a screditare la reputazione di questo giovane dal temperamento irruento. Aspirando ad essere investito della Croce di Devozione del Supremo Ordine Sovrano di S. Giovanni di Gerusalemme, ma non potendo attestare i due quarti di nobiltà relativi alla genealogia materna, egli produsse una notevole mole di documenti falsi che, nonostante la mediazione del Cardinale Ricci e l'interessamento dello stesso pontefice, non ebbero altro effetto se non quello di suscitare le ire del Gran Maestro, che con lettera del 28 marzo 1886 oppose un netto rifiuto alla sua richiesta, di aggregazione all'Ordine. La circostanza contribuì a rafforzare in Carlo quella sorta di inferiorità psicologica che sempre nutrì nei confronti del padre, il quale ben conoscendo la tendenza del figlio alla prodigalità cercò, finché la salute glielo consentì, di tenerlo lontano dall'amministrazione del patrimonio. L'ultimo decennio dell'esistenza del principe Sigismundo, su cui grava la coscienza di essere alla fine di un ciclo storico, fu segnato da una serie di eventi dolorosi. Avevano fatto ritorno alla casa paterna le figlie Nicoletta, il cui matrimonio con il duca Mario Grazioli di Magliano si era concluso con un sofferto divorzio e Maria Cristina, che nel 1897 aveva lasciato l'Ordine Domenicano del Sacro Cuore di Trinità dei Monti per gravi motivi di salute. L'improvvisa morte della moglie, avvenuta il 15 dicembre 1898, lo gettò in un profondo stato di prostrazione. L'anziano principe non riuscì ad arginare i vertiginosi debiti di gioco contratti dal figlio e a sottrarsi all'umiliazione di vedersi costretto a vendere Palazzo Vidoni, ceduto nel 1903 al conte Filippo Vitali. Non furono risparmiate neppure le quattro preziose Tavole Prenestine, ossia Ì frammenti di Quinto Valerio Fiacco, vanto della raccolta archelogica allestita dal Cardinal Stoppani nel salone del piano nobile affrescato dal Mengs, che furono acquistate dal Ministero della Pubblica Istruzione per l'irrisoria cifra di £ 10.000. Dopo la vendita di altri stabili minori e di palazzo Mignanelli, rilevato nel 1903 dal principe Massimo, la nuova residenza della famiglia divenne un grazioso villino in Via Virginio Orsini immerso tra i lillà. Ulteriori preoccupazioni giungevano a Sigismondo dalla tenuta di Fiastra. Nella notte dell'll febbraio 1904 un'impetuosa corrente di libeccio spirante da sud-ovest atterrò la torre campanaria della chiesa provocando il crollo del tetto della navata traversa, della sacrestia e di parte della navata media in corrispondenza della cappella delle Anime Sante. I lavori di restauro progettati dall'Ing. Filippo Rabbaglietti, per i quali il principe si accollò la spesa di £ 970.369 senza ricevere alcun sussidio dalla Soprintendenza ai Beni Artistici e Monumentali di Ancona, si svolsero sotto la vigilanza del Cav. Aristide Gentiloni-Silverj del Regio Ispettorato per gli Scavi ed i Monumenti di Tolentino. Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1908, Carlo, che non aveva mai rivestito un vero e proprio ruolo portante in seno alla famiglia, si trovò in una posizione sempre più debole ed isolala. Con rogito del 2 aprile 1910 e del 30 gennaio 1912 egli rinunciò rispettivamente ad 1/4 dell'usufrutto delle tenute di Fiastra e S. Maria in Selva in favore del primogenito Sigismondo, che l'anno successivo venne nominato dal Tribunale di Roma amministratore del patrimonio di famiglia. La breve esistenza di questo giovane principe fu animata da un singolare fervore religioso, Legato da un particolare amore alla proprietà di Fiastra, dove seppure con ristrette risorse portò a termine i lavori di sistemazione del palazzo che abbellì con i tromp l'oeil della Sala delle Tenute e gli affreschi della scala nobile, si rivelò un sensibile promotore di varie iniziative a carattere filantropico, tra cui l'istituzione dell'Opera Nazionale per l'Assistenza Civile e Religiosa degli Orfani di Guerra della sessione di Macerata, della quale divenne socio benemerito. L'impegno sociale di Sigismondo, come pure quello di sua sorella Maria Sofia, fu idealmente ispiralo da colei che insieme alla madre ebbe ad esercitare un'indubbia influenza sull'educazione dei giovane, la zia Maria Cristina, presidente dell'Unione delle Donne Cattoliche d'Italia dal 1909 al 1918.
Nel 1910 sposò Teresa Boncompagni-Ludovisi dei princìpi di Piombino e Venosa, una bellezza distaccata che ricordava molto la grazia dimessa della nonna paterna, Teresa dei conti Marescotti, la musa del conte Gegè Primoli consacrata dalle pagine della "Cronaca bizantina" come una delle dame più ammirate della capitale. Nella rassegnata attesa di un erede che tardava ad arrivare e che non avrebbe mai avuto, Sigismondo fu duramente provato dalla perdita del fratello Giuseppe, in cui riponeva tutte le speranze per la continuazione del casato. Iscrittosi al I anno di Chimica a Roma, Giuseppe abbandonò ben presto gli studi per arruolarsi; nel marzo del 1915 fu nominato sottotenente d'armata e nel gennaio 1916 sottotenente di cavalleria. La morte lo colse, l'8 agosto 1916 mentre combatteva valorosamente alle porte di Gorizia Assistito dall'avvocato Carlo Santucci di Macerata Sigismondo affrontò gli ultimi sofferti anni di vita coltivando il sogno di veder sorgere a Fiastra una scuola per giovani agenti rurali, Intendo ".. che essa sia..", scriveva in un passo del testamento stilato il 15 agosto 1917.
".... una specie di semenzaio dal quale dovranno sbocciare uomini che unendo a sani principi cristiani, francamente professati, una congrua erudizione di cose agricole, possano spargere nelle aziende che saranno chiamati, a dirigere oltre che i buoni germi di una sana istruzione e organizzazione agricola anche la parabola del "Pastor Bonus".
Il 27 gennaio 1918, quando non erano ancora manifesti i sintomi della febbre spagnola che contrasse a Fiastra al ritorno da una partita di caccia e che il 4 novembre successivo lo avrebbe portalo alla morte, il principe si fece recapitare da Roma un manoscritto contenente le memorie di famiglia, forse nell'intento di consegnarlo alle stampe e preservare la gloria del casato dall'oblio del tempo. Il manoscritto, come altre testimonianze dello splendore dei Giustiniani-Bandini, e andato irrimediabilmente perduto.
E' interessante, al fine della conoscenza dell'opera illuminata e benemerita della Fondazione Giustiniani - Bandini, leggere questi due scritti posti all'inizio dello studio della Prof.ssa Consolati.
Nel 1773 il marchese Alessandro Bandini ottenne in enfiteusi dalla Camera Apostolica le tenute. di Chiaravalle di Fiastra, Sarrocciano e S. Maria in Selva, nel 1977, con la morte della contessa Maria Sofia, si estingueva la famìglia Giustiniani Bandini. Per due secoli le vicende della famiglia sono rimaste strettamente legate alla più bella e vasta delle proprietà, quella nobilitata dalla presenza della prestigiosa abbazia cistercense di Fiastra. Qui, verso la metà del secolo scorso, il marchese Sigismondo Bandini, fece ristrutturare, su disegno dell'Aleandri, il preesistente Palazzo abbaziale che divenne residenza e centro amministrativo dei cospicui possedimenti della famiglia. L'archivio dell'azienda agricola contiene una vasta, ordinata e, interessantissima documentazione a disposizione dì chi sia interessato a studiare una grande proprietà del Maceratese dal punto di vista delle tecniche agrarie, dell'organizzazione e dell'economia. Da diversi anni si sta lavorando ad ampi interventi di restauro conservativo, alla ristrutturazione di immobili, alla sistemazione delle pertinenze dell'abbazia, del palazzo Bandini e dell'annesso parco. Promotore appassionalo, stimolo e guida sicura nell'opera di recupero tutt'ora in corso, è il Consiglio di Amministrazione, ispirato sia dalla consapevolezza di dover rivalutare e tramandare l'ingente patrimonio, artistico, culturale e naturalistico con oltre sette secoli di storia, sia dalla lungimirante prospettiva di voler assicurare un futuro cerio all'intero complesso. Doverosa e opportuna appare quindi l'iniziativa della Fondazione Giustiniani Bandini che, con questo bel volume di Paola Consolati, ha inteso ricordare ed onorare la memoria della estinta casa principesca dalla quale ha ereditato nome e proprietà.
Ing. Aldo Chiavari (Archivista onorario della Fondazione Giustiniani Bandini)
A titolo di omaggio verso il Consiglio d'Amministrazione della Fondazione, che si è distinto in opere che sono già passate alla storia non solo della Regione Marche, si riporta, pure, quanto lo stesso organismo ha sapientemente e molto semplicemente scritto.
Consiglio di Amministrazione della Fondazione Giustiniani Bandini
Il nostro Consiglio di Amministrazione opera ormai da venticinque anni. In questo arco di tempo netta misura in cui cresceva la nostra attività e si portava avanti la ristrutturazione del complesso abbaziale ed il suo restauro, la sistemazione del comprensorio divenuto riserva naturale dello Stato, ci si è resi conto dell'importanza di questa proprietà unica nel suo genere. Il Bosco, l'abbondanza delle acque, il Palazzo dei Principi, la monumentale Abbazia, la facilità di collegamenti viari, i parcheggi fanno di questo complesso un qualche cosa di unico non solo per le Marche ma anche per l'Italia centrale. Con la consapevolezza dell'importanza dei complesso è cresciuta la gratitudine per la Famiglia dei Principi Giustiniani-Bandini, che con grande altruismo e generosità ha voluto che questo patrimonio inestimabile per arte, natura e storia fosse messo a disposizione della collettività. Per questo il Consiglio ha ritenuto doveroso uno studio sulle origini della famiglia e sui principali mèmbri di essa.
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