Associazione Bichi Reina Leopardi Dittajuti

L'ARCHIVIO GENTILONI SILVERJ DI TOLENTINO

Estratto da: La nobiltà della Marca nei secoli XVI-XVIÌI: patrimoni, carriere, cultura
Atti del XXXII Convegno di Studi Maceratesi

Abbadia di Fiastra (Tolentino) 24-25 novembre 1996

PREFAZIONE:

E' uscito nel mese di Novembre 1998 il 32° volume pubblicato dal Centro Studi Storici Maceratesi ottimamente presieduto dal Prof. Pio Cartechini. Tra gli argomenti ivi affrontati due riguardano la mia famiglia. Il primo che ha per autore la Dr. Maria Grazia Pancaldi, Direttrice dell'Archivio di Stato di Macerata, parla dell'archivio Massi Gentiloni Silverj, li depositato per metterlo al sicuro da ogni tempesta.
Il secondo ha per autore il Prof. Edmondo Casadidio Direttore emerito della Biblioteca Filelfica e storico insigne della Città di Talentino.
Questa pubblicazione coincide anche con la comunicazione di sua Altezza Serenissima il Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta che mi comunica, dopo una lunga istruttoria della Consulta Araldica dell'Ordine, la mia ammissione come Nobile Cavaliere di Devozione.
Sono due coincidenze importanti per la storia della mia famiglia che vanta antenati illustri alcuni dei quali hanno documentazione certa di nobiltà feudale sin dal XII sec.
Ho fatto pubblicare questo estratto soprattutto perché sia testimonianza per i miei figli Francesco ed Emanuele e per i miei cari nipoti Alessandro. Stefano, Leonardo (figli della mia nuora Teresa) di come dalla storia di un Casato antico traggano lo stimolo per continuare la tradizione di famiglia ed essere ottimi cittadini.

Roberto Massi Gentiloni Silveri

 

 

L'ARCHIVIO GENTILONI SILVERJ DI TOLENTINO: RIFLESSIONI PER UNA RICERCA

di Maria Grazia Pancaldi (da pag. 513 a pag. 522)

C'è una contraddizione evidente alla base di ogni ricerca storica in ordine alle famiglie nobiliari, contraddizione che emerge puntualmente nel momento in cui si prendono in mano le diverse fonti per fonderle in un filo conduttore unico. Abbondanza da una pane e scarsa possibilità di riscontri oggettivi dall'altra, una serie di materiali troppo diversi tra loro per essere amalgamati in un discorso omogeneo. Da un lato gli archivi: una innumerevole serie di acquisti, successioni, contratti; dall'altro le memorie, testimonianze interne, scritte in molti casi con il fine ultimo di dimostrare una estensione spazio temporale esagerata del ruolo e del rango posseduti, infine le ricerche generali, tese a descrivere i vari processi di formazione delle classi al potere che danno una serie di risposte precise in ordine ai meccanismi ma che poi, inevitabilmente, si arenano di fronte al frantumarsi delle singole esperienze familiari, ognuna diversa dall'altra, ognuna con una diversa tensione particolare.
Nel processo di sintesi che pure si deve tentare, in realtà assai pochi sono i punti fermi, i criteri a cui attenersi per non perdersi nel particolarismo eccessivo delle singole fattispecie.
Il primo, necessariamente, è quello della delimitazione temporale dell'intervento di ricerca : nel caso specifico, dato che l'ambirò è quello dello Stato della Chiesa, dalla prima o seconda decade del XVI secolo all'arrivo delle armare francesi nel 1797.
Tutto quello che succede prima della data di partenza, se può avere un interesse particolare, sfugge comunque alla regola più generale che vede proprio nel '500 l'affermarsi, all'interno dello Stato, di principi che in ultima analisi si possono definire moderni. Prima di allora la nobiltà aveva avuto un suo ruolo preciso, ceno, ma non inquadrabile all'interno delle attività dello Stato stesso. Aveva rappresentato, genericamente, il ruolo di ceto dominante, senza altra funzione che quella del semplice esercizio di un potere elementare. E solo nel momento in cui lo Stato si organizza, definendo il suo ruolo di potere centrale, le sue prerogative specifiche, i suoi organi di controllo e di esecuzione, che i corpi sociali trovano all'interno dei nuovi meccanismi istituzionali, un nuovo ruolo e una nuova funzione. E solo in quel momento, in definitiva, che la nobiltà diventa, a tutti gli effetti, la nuova classe dirigente, ruolo che manterrà, senza soluzione di continuità, fìno all'arrivo dei soldati della rivoluzione (1).
Il processo, in realtà più volte descritto, non è così lineare: La centralizzazione e la burocratizzazione dello Stato avvengono attraverso numerosi passaggi ognuno dei quali rappresenta un momento di crisi, ma si può affermare che fin dall'inizio il ruolo della nobiltà è chiaro. Pacificata, resa meno turbolenta , purgata nei suoi ranghi meno docili alle nuove esigenze, essa eserciterà a tutti gli effetti il ruolo di gestione del potere residuale in ambirò locale. Classe dirigente dunque, a tutti gli effetti, ma con ambiti limitati e stabiliti a priori. L'antica nobiltà feudale era preparata ai nuovi compiti. L'esercizio dei nuovi poteri non gli era estraneo, faceva parte, in qualche modo, delle prerogative del passato, quello che mancava, nei fatti, era solo la disponibilità numerica. Limitata nei ranghi, la feudalità, da sola, non era in grado di garantire la funzionalità delle operazioni connesse alla nascita del nuovo Stato impostato su criteri moderni.
Ecco allora affiancarsi, in un processo lento, ma continuo, il nuovo patriziato urbano, più legato alla città che alla campagna, distintosi nei campi della milizia, del diritto, del clero, delle magistrature civili (2). E un processo che conosce alti e bassi, aperture e chiusure, mai improvvise, mai del tutto definite nella procedura, un processo che dura fino all'arrivo dei francesi, si interrompe nelle sue linee essenziali e poi riprende lentamente, dando i suoi frutti fino alla prima metà dei nostro secolo (3).
Definiti gli ambiti temporali di una possibile ricerca, occorre ora stabilire con maggior precisione il ruolo delle fonti, come già visto discordanti e spesso incongrue.
Nel caso specifico, la decisione degli eredi di depositare nell'Archivio di Stato di Macerata il fondo della famiglia Gentiloni Silverj Massi, da un contributo importante alla definizione del quadro d'insieme (4).
Le carte, sottratte in questo modo alla loro condizione di forzata separazione dal contesto storico d'insieme, acquistano un nuovo valore. Il deposito infatti consente quelle integrazioni indispensabili a chiunque voglia ripercorrere in modo compiuto ed esauriente le diverse vicende familiari, sottraendole alla pratica per la verità abbastanza sterile della semplice contemplazione in ambito poco più che familiare e restituendole alla loro funzione originaria, documenti cioè in grado di chiarire i passaggi attraverso cui si articola il processo di crescita e di integrazione delle diverse realtà sociali, l'evoluzione dei costumi, il modo di reagire di fronte alle emergenze, ai mutamenti storici, ai fatti.
Le centocinquanta unità di cui si compone la massa dei ire archivi fusi tra loro danno alcune risposte precise. Si parte dal XVI secolo con le fasi della ascesa della famiglia Silverj di Tolentino. Si arriva, con il 1873, all'unione di questo casato con quello dei Gentiloni, la data è quella del matrimonio tra Aristide Gentiloni ed Adele Silverj e si prosegue fino al 1919, anno in cui Agnese, la figlia più piccola nata da quello stesso matrimonio, va in sposa al commedator Pacifico Massi, maggiore dei bersaglieri, completando così il quadro d'unione delle tre famiglie in questione.
Siamo, come è dato di vedere, oltre i limiti temporali imposti dalla riflessione fatta precedentemente, ma il fatto è contingente. I motivi interessanti della ricerca sono tutti radicati, profondamente, nel periodo in questione, le date successive servono solo a ricondurre i fatti ad unità, a raccontare quello che è successo dopo, a spiegare il perché, alla fine, ci si è trovati di fronte ad un'unica massa di carte piuttosto che a tre distinti capitoli di una storia articolata.
Nell'archivio non ci sono sorprese. Si trova tutto quello che è legittimo aspettarsi di trovare in fondi di questo genere. Le serie principali riguardano soprattutto diverse eredità: Bonfanti, Pellicani, Parisani, Ilari, Massucci, per citarne solo alcune- Strumenti dì vendita e di acquisto di fondi, disposizioni testamentarie, gestioni di beni situati a Tolentino, Mogliano, Castelfìdardo, qualche volta addirittura fuori dai confini della regione, carte di amministrazione, rendiconti, ricevute di pagamenti, corrispondenza con gli amministratori, libretti di colonia, richieste di scioglimento di contratti da parte dei mezzadri e così via. Ogni tanto qualche curiosità. Un registro della contessa Luigia Silverj riporta l'elenco delle spese personali: vestiti, elemosine, la portantina; e poi i conti del calzolaio, i regali di nozze, qualche frivolezza. Basterebbe, forse anche da solo, a dare un quadro particolare di un certo modo di condurre la vita quotidiana da pane di una nobildonna marchigiana a metà del secolo scorso, un quadro fatto di dettagli minuti, di inezie da cui pure si coglie una modestia di intenti e di risoluzioni che meriterebbe un approfondimento. Tuttavia, in questo contesto, più che il dettaglio, interessa l'insieme, l'affacciarsi cioè sulla scena politica marchigiana di famiglie molto diverse tra loro, in epoche diverse, con un'unica finalità, quella di crearsi uno spazio, non importa quanto vasto, all'interno del quale esercitare un certo tipo di potere.
I Gentiloni, naturalmente, sono i primi a comparire sulla scena. E un ingresso, se così si può dire, che avviene dalla porta principale: la famiglia apparteneva a pieno titolo alla nobiltà feudale fin dal XII secolo e di fatto aveva già svolto molte delle funzioni tipiche della nuova classe dominante. La natura dei suoi redditi era "onorevole", dato che questi provenivano tutti o quasi dalla proprietà terriera, le mansioni svolte all'interno delle istituzioni e della società testimoniavano stima, dignità, onore, rango e prestigio, i cardini stessi su cui si fondava il concetto di nobiltà (5).
Un esempio per tutti: Giovanni Paolo, figlio di quel Gentilone che era stato gonfaloniere di Staffolo nel 1516.
Nel 1525 trasferisce a Macerata la sua dimora. Esercita contemporaneamente l'ufficio di notaio e l'avvocatura. Per questi meriti e l'antica nobiltà viene aggregato, nel 1573, al patriziato maceratese, diventa milite lauretano e alla sua morte, nel 1585, riceve gli onori della sepoltura nella chiesa di San Francesco. I suoi discendenti, nel 1630, abbandonano Macerata per ricongiungersi all'altro ramo della famiglia da tempo stabilitesi a Filottrano, considerata terra di origine dai Gentiloni stessi.
Contemporaneo di Giovanni Paolo, forse di qualche anno più anziano, è Ancon Francesco, del ramo che abbiamo appena definito fìlottranese. Nel 1511 è procuratore fiscale della curia generale della Marca di Ancona. Nel 1513 lo troviamo annoverato ira i consiglieri del comune di Filottrano, ma ricopre anche la carica di commissario del vice legato della Marca. Poi il salto di qualità: Anton Francesco si trasferisce nella capitale dove va a ricoprire l'importante carica di crittore dei brevi apostolici, concessa solo agli uomini illustri "per senno e per dottrina". A Roma, agendo per il comune di Macerata, ottiene dal capitolo lateranense la bolla per la fondazione della chiesa di santa Maria Incoronata, nella stessa Macerata. Da Roma si trasferisce ancora a Perugia, dove ottiene la carica di preside, a coronamento di una carriera brillantissima. Ne celebrerà la memoria, nel 1591, un altro Gentiloni, Angelo, che in quello stesso anno si laurea all'università di Macerata. Angelo è il primo dei Gentiloni che comincia a tirare le fila delle vicende familiari per ricondurle entro i binari della realtà storica in cui vive.
Non sarà, naturalmente, il solo. L'archivio testimonia che ancora a metà degli anni venti di questo secolo la memorialistica familiare aveva un suo interesse immediato e specifico.
Aristide Gentiloni, trasferitesi da Filottrano a Tolentino dopo il matrimonio con Adele Silverj, è consigliere nazionale della consulta araldica e raccoglie in due contenitori, conservati anch'essi nell'archivio, la sua corrispondenza con i mèmbri di alcune famiglie in merito alla loro iscrizione nell'elenco della nobiltà marchigiana e ai requisiti necessari all'ingresso.
Si tratta di fascicoli riportanti sul frontespizio della coperta il nome della famiglia, la sua provenienza, le richieste presentate alla Commissione araldica per le regioni romana, umbra e marchigiana. C'è, riassunta, la storia delle stesse famiglie, ci sono i bozzetti degli alberi genealogici, i disegni degli stemmi.
Un altro fascicolo manoscritto riguarda la storia di Filottrano, con allegato un elenco dei nobili locali, i loro stemmi acquerellati, le notizie relative. Aristide Gentiloni, con tutta evidenza, era un appassionato della materia. Fu lui a pubblicare quella genealogia della famiglia Gentiloni stampata a Tolentino nel 1936 che costituisce a tutt'oggi la trattazione più completa delle diverse vicende familiari.
La lettura di quelle carte, o di quelle stesse memorie, può dare oggi la sensazione che il livello in cui si muove la nobiltà marchigiana, a parte qualche eccezione, sia ristretto, asfittico, certo non adatto alle aspirazioni di una classe dirigente modernamente intesa. I Gentiloni stessi, a parte il caso di Anton Francesco che varca i confini regionali, si muovono lungo un asse territoriale che non supera mai i confini che vanno da Staffolo a Filottrano e a Macerata, un ambito angusto che offre un raggio di azione assai limitato. Ma il punto non è questo. Questa classe dirigente non si preoccupa degli ambiti per essa stabiliti dal potere centrale con cui non ha quasi mai frizioni evidenti :il problema, se mai, è quello di chiudere questi ambiti, impedire che gli altri ceti possano varcare il confine accedendo alle cariche. Per questa classe dirigente l'imperativo è semplicemente quello di lasciare inalterato il sistema, perpetuarlo nelle sue forme e nei suoi contenuti (6).
Questa è la realtà politica sulla quale, alla fine del diciassettesimo secolo, compaiono i Silverj di Tolentino. Uno dei primi passi attuati per accedere al patriziato locale, consiste nel documentarsi sull'esito di tentativi analoghi fatti da altre famiglie nella regione. I Silverj raccolgono una sorta di casistica al riguardo, e dopo averla fatta stampare e rilegare in pergamena, la editano. Ne da notizia lo stesso Aristide Gentiloni quando osserva che uno dei documenti raccolti, relativo a Filottrano, ha avuto per protagonista proprio un suo avo. Giuseppe Domenico Gentiloni, nel 1696, viene chiamato a giudicare sul ricorso svolto da un certo Agostino Bartolomei contro la sua esclusione al patriziato fìlottranese.
A parte l'esito di quel ricorso,interessa esaminare il clima culturale in cui stava maturando l'ascesa della famiglia Silverj.
Questa non appartiene all'antica nobiltà feudale, ma da tempo ha intrapreso la strada delle cariche pubbliche, delle magistrature. E ormai una famiglia illustre che sta aggiungendo benemerenze a benemerenze. L'archivio di famiglia testimonia che la natura dei redditi è "onorevole", provenendo tutta dalla proprietà terriera. Le tenute si estendono anche in zone relativamente lontane da Tolentino, che rimane tuttavia il centro della attività principale della famiglia. Ma il possesso della terra non si traduce mai, come era accaduto in passato alla nobiltà feudale, in una ricerca di dominio su una zona particolare, o magari sulle persone che lavorano su quella stessa terra. I Silverj sono e rimangono, a tutti gli effetti, dei cittadini, ed anche quando costruiscono in campagna le loro ville, lo fanno semplicemente per controllare da vicino la produzione: la vita rimane legata alla città e ai suoi ritmi.
La loro iscrizione al patriziato urbano dovrà comunque attendere fino ai 1731 quando Stefano Silverj e suo fratello Giuseppe avranno il riconoscimento e potranno trasmetterlo ai loro discendenti.
Cinquant'anni più tardi, nel 1778, sarà il duca di Parma, Ferdinando II, a decorare con il titolo comitale Domenico Silverj e tutti i suoi discendenti maschi. Ne deriva, ovviamente, un lungo elenco di titoli e di benemerenze acquisiti nei più diversi settori, soprattutto quello delle cariche civiche. Domenico di Stefano, nato nel 1818, incarna le doti e i limiti di un nobile marchigiano trovatesi a vivere le contraddizioni del secolo. Patriota, accorse volontario alla difesa della Repubblica romana ed ospitò nella sua casa lo stesso Garibaldi. Fu gonfaloniere e membro della Deputazione provinciale. Musicista, compose per Pio IX la sinfonia delle trombe d'argento, eseguita nel momento dell'elevazione allorché il Papa celebrava messa in San Pietro.
Fu quello scesso Domenico, privo di discendenti maschi, a maritare nel 1873 la primogenita Adele con il conte Aristide di cui si è già parlato. Aristide aggiunge al suo cognome, Gentiloni, quello dei Silverj, inquartandone lo stemma.
La figlia più giovane di Aristide ed Adele, Agnese, sposerà a sua volta, nel 1919, sempre a Tolentino, il commenda-tor Pacifico Massi, maggiore dei bersaglieri, completando cosi la fusione delle tre famiglie (7).
Pacifico Massi era stato anche podestà di Tolentino ed aveva collaborato assieme al futuro suocero a quel progetto di ferrovia elettrica che doveva collegare, attraverso Caldarola, Tolentino ad Amandola. Aristide Gentiloni era presidente del comitato esecutivo che lavorò dal 1913 al 1939 all'ambizioso progetto i cui documenti sono poi confluiti nell'archivio familiare assieme a quelli di un'altra ferrovia, quella che da Fermignano avrebbe dovuto scendere a Corinaldo, Jesi, Cingoli fino alla stessa Tolentino.
Il fatto che le carte relative a questi progetti siano finite tra quelle di famiglia non è inconsueto, testimonia anzi il legame stretto che passava, anche in anni tutto sommato a noi vicini, tra l'attività' sociale e quella familiare, due facce di una stessa medaglia. Pacifico Massi appartiene anche lui ad una famiglia illustre che aveva iniziato la sua ascesa attorno al '600, dopo che per quasi ere secoli i suoi rappresentanti si erano alternati alla guida delle magistrature del circondario, fino a Caldarola. I Massi, analogamente ai Silverj, si distinguono nelle magistrature civili, ma seguono soprattutto la strada di quella che con espressione moderna si porrebbe definire "carriera militare". Ad esempio Evangelista, nato a Caldarola nel 1609, partecipò tra le fila degli imperiali alla guerra dei trent'anni, poi a quella franco spagnola per finire, al servizio della Santa Sede, a combattere le guerricciole che agitarono le Romagne attorno al 1640. Fu nominato governatore di quella regione e comandante generale delle truppe pontificie di stanza nella zona. Da ricordare anche Bernardino, nato a Caldarola nel 1761, che fu senatore della prima repubblica romana, poi di quella cisalpina e infine del regno italico.
La collazione, con tutta evidenza sommaria, delle diverse parti dell'archivio Gentiloni Silverj termina qui. Il quadro d'insieme si intravede soltanto ed è questo il limite ultimo dello Studio degli archivi familiari: la difficoltà, ad un certo momento, di trovare un punto d'unione con la storia vera e propria- Le vicende individuali, sotto un certo aspetto, possono anche confondere le acque, dare prospettive diverse, togliere anche un certo rigore storico alla ricerca in quanto tale, far perdere di vista, si potrebbe dire, il fine ultimo che rimane quello di dare continuità, aprire nuove ipotesi, nuovi spazi per altre, ulteriori interpretazioni. Rimane però il fascino particolare delle piccole storie, magari quotidiane, quelle che non necessitano di approfondimenti, di richiami, di note, di sintesi. Storie che si raccontano da sole, a cui spesso il rigore filologico nuoce più che giovare. Si tratta di un nuovo filone che va oltre la ricerca storica tradizionale per approdare forse ai confini di quella che, tradizionalmente, si definisce narrativa tout court. Gli archivi familiari, per loro natura, consentono anche questo tipo di approccio che nei paesi di lingua anglosassone ha dato risultati notevoli.
Significa anche che gli archivi, tradizionalmente legati alla frequentazione da pane degli storici, forse diventeranno in futuro anche luogo di documentazione per gli scrittori. Una prospettiva, sotto certi aspetti, esaltante.

NOTE:

  • (1) J. DELUMEAU, Les progres de la centralisation dans L'Etas Pontifical au XVI -siec. in "Revue Historique" II (1961), pp. 399-410.
  • (2) B. G. ZENOBI, Ceti e potere nella Marca pontificia. Formazione e organizzazione della piccola nobiltà tra '500 e '700, Bologna 1976, passim.
  • (3) S. ANSELMI, Economia e vita sociale in una regione italiana tra sette e ottocento, Urbino 1971, pp- 9-95 e 237-253.
  • (4) Nel 1996 l'on. Roberto Massi Gentiloni Silverj manifestò la volontà di depositare l'archivio familiare presso l'Archivio di Stato di Macerata. Vista l'importanza ed il notevole interesse storico dei documenti, previo sopralluogo congiunto dei funzionari della Soprintendenza archivistica per le Marche e dell'Archivio dì Stato e con l'autorizzazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientati, si è proceduto all'acquisizione del fondo, a cui è seguito, un primo sommario riordinamento. Si è potuto constatare, fra. l'altro, che il fondo conserva soprattutto carte della famiglia Silverj, a far data dal 1478, con particolari riferimenti alla famiglia Guerrieri, Patrizia di Tolentino e di Fermo, estintasi in casa Silverj sul finire del XIX secolo. Dal 1873 compaiono anche documenti riferentisi ai Gentiloni per il matrimonio tra Aristide Gentiloni ed Adele Silverj, e, a partire dal 1919, data delle nozze fra Adele Gentiloni e Pacifico Massi, anche carte relative a quest'ultima famiglia.
  • (5) Le notizie intorno alla famiglia Gentiloni sono desunte da: A. GENTILONI, Genealogìa della famiglia Gentiloni, Tolentino, 1936.
  • (6) B. G. ZENOBI, L'organizzazione delle classi al potere tra cinquecento e settecento, in Economia e società: le Marche tra XV e XX secolo, a cura. di S. ANSELMI, Bologna 1975.
  • (7) R. MASSI, Evangelista Massi (1609-1664) - Governatore delle Romagne Castellano di Ferrara, s. l. s. d.


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