Roberto Gaetani:
Negli ultimi tempi si è molto parlato di Villa Eugenia, della necessità di un suo restauro e di una sua destinazione pubblica, ma non sono molti a conoscere quanta storia locale sia passata attraverso le vicende di quella proprietà e, soprattutto, quale sia stata l'importanza della presenza dei Napoleonidi a Civitanova. I rapporti tra le Marche e Napoleone (1) sono legati a due significativi interventi di questo inquietante personaggio nel pacifico modus vivendi dei nostri avi, mutuato dal loro soporifero adattamento allo Stato Pontificio. La prima discesa di Napoleone in Italia è legata alla serie di fulgide vittorie che contribuirono alla fama del giovane generale nella fase del Direttorio: Montenotte, Arcole, Rivoli, culminate nella pace di Tolentino, con la quale, il 19 febbraio 1797, l'arcivescovo di Ferrara, cardinal Mattei, in rappresentanza del pontefice Pio VI, rinunciava definitivamente ad Avignone e al vicino territorio del Comtat - Venaissin (Carpentras), già tolti di fatto dalla rivoluzione francese, sin dal 1791; alle legazioni di Ferrara, Bologna e Romagna, cedendo altresì ai francesi il diritto di stabilire una guarnigione in Ancona. Dopo pochi anni il papa moriva, sostituito, il 14 marzo 1800, da Barnaba Chiaramonti, vescovo di Imola, che assumerà il nome di Pio VIII. Una testimonianza della prima venuta dei francesi nelle Marche ci è data da Monaldo Leopardi; mentre una descrizione delle devastazioni francesi nella papalina Macerata si trova nell'opuscolo Descrizione della caduta di Macerata (4). Anche Civitanova era stata fatta oggetto di un'intera giornata di saccheggi da parte dei francesi (5).
La creazione nei territori dell'ex Stato Pontificio della Repubblica Romana comportò per un paio d'anni nelle Marche un'organizzazione amministrativa di tipo francese. La creazione del Dipartimento del Musone, nel quale venne inserita Civitanova negli anni 1798-1799, ebbe come conseguenza la trasformazione della stessa in Comune e Municipalità Repubblicana, al posto della tradizionale gestione ducale dei Cesarini (6). Ma nell'autunno del 1799 le sorti dei francesi in Italia volsero al peggio; sotto la spinta degli austriaci e degli "insorgenti" il generale Monnier capitolò in Ancona' e da questo momento incominciò nelle terre occupate dai francesi la prima Restaurazione dello Stato Pontificio', durata dal 1800 al 1808, che comportò nella nostra città la presenza del Regio Cesareo Magistrato di Civitanova, poi sostituito dal Vice Duca, nominato dal Duca Francesco Sforza Cesarini, il tutto sotto l'egida della nuova Delegazione Apostolica di Macerata (9). Veniva in tal modo ripristinato nella città il rapporto feudale esistente dal 1551 con la famiglia Cesarini, pur con alcune innovazioni che avrebbero favorito la definitiva eliminazione del feudo dopo il secondo arrivo dei francesi. La prima Restaurazione pontificia nelle Marche non poteva però essere che transitoria. La pressione di Bonaparte sul resto dell'Italia settentrionale non aveva cessato di diminuire ed Ancona costituiva pur sempre una piazzaforte autonoma, occupata dal 1805 dal generale francese Gouvion-Saint Cyr (10).
La Repubblica Cisalpina (11), costituita nel 1797, veniva sostituita a Lione, il 26 gennaio 1802, dalla Repubblica Italiana, di cui veniva nominato Presidente Francesco Melzi d'Eril (12), e quindi, il 18 marzo 1805, trasformata in Regno d'Italia, subendo la nomina di Napoleone I a Re d'Italia, con solenne incoronazione al Duomo di Milano, il 26 marzo 1805. Non avendo tempo di curare in prima persona i problemi del suo regno, Napoleone, il 7 giugno 1805, nominò Viceré d'Italia il figliastro Eugenio Beauharnais, ventiquattrenne figlio di prime nozze della moglie Joséphine. Di fatto sarà questi ad occuparsi direttamente dell'Italia, seguendo le meticolose istruzioni di Napoleone, fino alla fine del regno, registratasi nell'aprile 1814, dopo i rovesci bellici di Napoleone, che portarono poco dopo al suo forzoso ritiro all'isola d'Elba. Seguiamo per un momento le sorti di questo effimero regno, perché allo stesso è legata la vicenda che interessa la nostra città. Agli attenti occhi di Napoleone Eugenio Beauharnais si era presentato come la figura ideale del fedele esecutore, capace di garantire l'assenza di colpi di testa e quindi il tipo di persona degna di fiducia, anche più dei propri fratelli: Giuseppe, Luigi, Luciano, Girolamo, che, per un verso o per l'altro, avevano deluso le sue aspettative, in quanto presuntuosi o inaffidabili, per le fastidiose ripicche e gelosie, continuamente nascenti dai loro entourages. Eugenio rappresentava insomma per Napoleone il modello di quel figlio che avrebbe voluto e che Joséphine non poteva dargli. Con l'avvento del regno venne applicato alle terre d'Italia in esso incluse il codice civile napoleonico, che consentiva allo Stato di sottrarre agli ecclesiastici la responsabilità della gestione dei loro beni patrimoniali, in cambio di un nuovo rapporto tra Regno e prelati". Il Regno d'Italia, durante il periodo della sua breve durata, fu sottoposto, tra il 1806 ed il 1811, ad una serie di nuove acquisizioni e graduali ampliamenti, in collegamento con le fortune belliche di Napoleone, fino a quel momento sempre favorevoli. Fu così che il 2 aprile 1808 le Marche vennero inglobate nel Regno ed inquadrate nei Dipartimenti del Metauro, del Musone e del Tronto, dopo la loro occupazione, nell'ottobre del 1807, ed il prelevamento da Macerata del delegato pontificio Rivarola (15). Anche nella nostra regione, a partire da tale data, incominciarono ad essere acquisiti al Regno i beni ecclesiastici, destinati ad una gestione pubblica, facente capo, a Milano, al Monte Napoleone (16) da cui è poi derivata la denominazione dell'omonima via. Sullo stato d'animo dei marchigiani nei confronti di questa forzata annessione al Regno sarebbe interessante leggere per intero il Memoriale sulle tre Marche ed il Ducato di Urbino, compilato dal Vicerè Eugenio il 21 marzo 1808, prima dell'annessione, di cui il Tarle cita soltanto alcuni brevi estratti".
In ogni caso i francesi avevano bisogno di conoscere più a fondo i nuovi sudditi italici che, nelle mire di Napoleone, avrebbero dovuto gradualmente, col tempo, essere assimilati ai francesi e quindi inglobati in una più vasta unità territoriale. Vennero pertanto promossi in quell'epoca tutta una serie di studi sul nuovo territorio italico, assai importanti perché tramite essi abbiamo una prima connotazione sociologica degli italiani del tempo. Basta leggere a riguardo l'inchiesta promossa dal conte Giovanni Scopoli, direttore generale della Pubblica Istruzione, per acquisire dati e documentazione iconografica sul differente modo di vestire nei ventiquattro dipartimenti del Regno", per rendersi conto della grande validità di tale approccio ad un mondo completamente alieno dalla tradizionale clarté francese. I beni ecclesiastici prelevati alla Chiesa, in applicazione della legge di soppressione delle Congregazioni religiose e di confisca dei relativi beni, costituirono, come abbiamo visto, un Appannaggio del re d'Italia, direttamente amministrato a Milano, da cui venivano tratti i fondi per le spese di mantenimento dei regnanti. Se fino al 1810 tali beni furono considerati pubblici, il 15 marzo 1810 Napoleone trasformò invece in dotazione personale di Eugenio tutti i beni dell'Appannaggio, elevando in tal modo il suo figlio adottivo alla posizione di uno dei più grandi proprietari terrieri europei (19). L'immagine riservata dalla Storia ad Eugenio è quella in genere di un uomo fortunato, colmato dal destino di una serie di benefici che lo portarono ad uscir bene anche dal pericoloso Congresso di Vienna, che nel 1815 doveva ridisegnare l'Europa, dopo la crisi dei vecchi equilibri basati sulle fortune militari di Napoleone. Eugenio aveva infatti sposato nel 1806 Amelia di Wittelsbach, figlia dell'elettore di Baviera Massimiliano Giuseppe, e ciò gli aveva facilitato un recupero di contatti con le grandi potenze, nel momento in cui le sorti di Napoleone sembravano vacillare. Eugenio perse allora il Regno d'Italia, ma divenne nel 1817 Duca di Leuchtenberg e principe di Eichstàtt (20) grazie all'intervento del Re di Napoli, che pagherà cinque milioni alla Baviera affinché fosse assicurata ad Eugenio una collocazione degna del suo precedente ruolo di Vicerè.
Anche per quanto riguarda i beni che aveva in Italia Eugenio non uscì male `dal Congresso di Vienna, che, nonostante le pretese della Chiesa, riconfermò allo stesso il godimento delle sue proprietà, condizionandolo al pagamento alla Camera Apostolica di 160.000 scudi romani a titolo di "laudemio"; alla corresponsione alla Chiesa di un canone annuo di 4000 scudi e alla possibilità per la Chiesa di riscattare i beni suddetti, concessi in enfiteusi ad Eugenio. Sui particolari di questi accordi rinviamo alla diligente tesi della Guidetti, che in calce al suo lavoro riporta anche la trascrizione degli atti ufficiali di questa disposizone. Una clausola importante di questo atto di enfiteusi, stipulato a Roma l'8 maggio 1816, riconosceva ad Eugenio la possibilità di disporre liberamente di un ottavo dei beni elencati, salvo l'esercizio della prelazione da parte della Chiesa. Dall'atto di enfiteusi trascritto dalla Guidetti rileviamo l'esatta indicazione delle proprietà civitanovesi facenti parte dell'Appannaggio di Eugenio al momento della stipula dell'accordo. Le Marche erano divise dall'Appannaggio in cinque distretti: il primo comprendeva l'agenzia di Ancona, il secondo l'agenzia di Jesi e Loreto, il terzo l'agenzia di Senigallia, il quarto l'agenzia di Pesaro ed il quinto l'agenzia di Chiaravalle. Negli atti sopra citati non si parla di beni siti oltre il Chienti. I distretti erano divisi in circondari, a presiedere i quali era un amministratore, coadiuvato da fattori. Tutti i distretti dipendevano dall'Intendente generale, che risiedeva in Ancona, nel Palazzo dell'Appannaggio, sito ove è oggi ubicata la Banca d'Italia. I beni civitanovesi erano inclusi nel secondo distretto, costituente l'agenzia di Jesi e Loreto. Nell'atto di enfiteusi troviamo la descrizione del valore dei beni civitanovesi e l'indicazione dell'ente religioso che ne era in precedenza proprietario:
1) Padri agostiniani di Civitanova L. 116.323,05 2) Padri Minori Conventuali L. 104.492,16 3) Monastero di S. Giovanni Battista L. 143.073,09 4) Collegiata di S. Paolo L. 121.682,26 5) Prebenda Teologale S. Tommaso L. 10.874,24 6) Prebenda canonicale S. Andrea L. 6.716,22 7) Prebenda canonicale S. Bartolomeo L. 5.679,71 8) Prebenda canonicale S. Filippo L. 6.928,43 9) Prebenda canonicale S. Giacomo Maggiore L. 7.329,77 10) Prebenda canonicale S. Giovanni L. 7.329,77 11) Prebenda canonicale S. Matteo L. 5.061,98 12) Prebenda canonicale S. Pietro L. 7.359,60 13) Prebenda Beneficiale S. Giacomo Minore L. 5.209,37 14) Prebenda Beneficiale S. Giuda L. 4.216,94 15) Prebenda Beneficiale S. Luca L. 1.694,51 16) Prebenda Beneficiale S. Marco L. 2.620,88 17) Prebenda Beneficiale S. Mattia L. 4.641,29 18) Prebenda Beneficiale S. Simone L. 6.233,24
TOTALE = L. 566.300,98
Per lo Stato della Chiesa, ripristinato dopo la caduta di Napoleone, i beni dell'Appannaggio di Eugenio costituirono per lungo tempo fonte di apprensione, dato che nell'ambito degli stessi operavano, quali amministratori, vecchi ufficiali napoleonici e comunque persone che, per la loro compromissione con il passato regime, non avevano avuto la possibilità di trovare incarichi pubblici nelle nuove istituzioni. Papa Leone XII avrebbe voluto affrettare il riscatto di tali beni, dopo la morte di Eugenio, perché aveva paura che dal seno di quelle proprietà avesse potuto prendere l'avvio qualche moto di cospiratori, ma morì nel 1829 e non poté completare il proprio disegno. Soltanto sotto il pontificato di Gregorio XVI si poté procedere al riscatto da parte della Chiesa di tutti i beni facenti parte dell'Appannaggio di Eugenio, tramite un atto rogato in Roma, il 3 aprile 1845, dal cancelliere della S. Sede, Felice Argenti. Le trattative furono condotte per le due parti dal cardinale Mario Mattei e da Filippo Rousc De Damiani, intendente generale delle proprietà di Eugenio, il quale si trovava in Ancona all'amministrazione generale dell'Appannaggio. Nell'elencazione dei beni riscattati non è più compresa l'indicazione dei beni civitanovesi in quanto gli stessi, in base alla possibilità concessa dall'atto di enfiteusi del 1816 di poter essere venduti nel limite di 1 /8, fecero appunto parte di un atto di disposizione, cui la Chiesa diede il consenso, non esercitando la prelazione. Il civitanovese Alessandro Frisciotti, persona attendibile, in quanto vivente a Civitanova all'epoca dei fatti, ci attesta in una memoria scritta per ottenere da Papa Leone XII la restituzione al Comune della denominazione di "città", nel capitolo "Famiglie che vivono nobilmente", che le terre un tempo appartenute al clero civitanovese ed assegnate al Viceré Eugenio furono oggetto di una permuta tra il medesimo e Luigi Bonaparte, conte di Saint-Leuz (4). Non sappiamo quale sia stato l'oggetto di tale permuta, comunque l'atto di disposizione dovrebbe essere avvenuto tra il 1816, data dell'atto di enfiteusi, ed il 1824, anno della morte di Eugenio. Per poter sapere qualcosa di più preciso bisognerebbe fare una ricerca presso l'Archivio di Stato a Romazs, tra gli atti consultati dalla Guidetti in occasione della sua ricerca, dato che, dovendo il trasferimento avere il beneplacito della Chiesa, dovrebbero risultare i beni non restituiti alla stessa al momento del riscatto e la comunicazione dei relativi atti di vendita, inviati al fine dell'esercizio della possibile prelazione. Dalla data dell'acquisto di Luigi Bonaparte la proprietà civitanovese assumerà una configurazione speciale, rispetto agli altri beni dell'Appannaggio. Mentre infatti le altre proprietà furono riscattate dalla Chiesa, tramite una cordata di patrizi romani, combinata dal Pontefice per trovare i fondi necessari al riscatto, i beni di Civitanova costituirono da allora proprietà privata dei Bonaparte, dando in tal modo vita nella nostra città ad un'entità patrimoniale di considerevole importanza, durata fino a pochi decenni orsono (26).
Luigi Bonaparte, proprietario della tenuta di Civitanova fino alla data della sua morte, è stato indubbiamente il più stravagante dei fratelli di Napoleone. Dopo aver seguito il fratello nelle campagne d'Italia e d'Egitto, il suo stato di salute incominciò gradualmente ad alterarsi, facendolo diventare a poco a poco un habitué delle principali stazioni termali d'Europa. Napoleone, sottovalutando l'involuzione di carattere che stava prendendo corpo nel fratello e che lo rendeva sempre più scontroso e bizzarro, l'aveva costretto, controvoglia, a sposare il 2 gennaio 1802, Ortensia Beauharnais, sorella di Eugenio e figlia di Joséphine, verso cui l'imperatore provava vivissima simpatia (21). Il matrimonio non fu però felice, i due sposi provavano repulsione l'uno per l'altro, nonostante la nascita di tre figli: Napoléon Charles (morto a 5 anni), Napoléon-Louis (morto in Italia nel 1831) e Charles-Louis-Napoléon (che poi diventerà Napoleone 111). I due conìugi vìssero in realtà quasì sempre separati, mentre il marito vagava per l'Europa dedicandosi alla poesia e agli studi storici (2g). Napoleone lo aveva nominato Re d'Olanda nel 1805, ma ben presto i due fratelli entrarono tra loro in forte contrasto di vedute, in quanto, mentre Napoleone voleva che il fratello utilizzasse il regno soprattutto per garantirgli la riuscita del blocco navale decretato nei confronti degli inglesi, Luigi si illudeva al contrario di poter dare vita ad un regno indipendente, realmente autonomo dalle calcolate direttive del fratello (29). Nel 1810 i contrasti sempre crescenti con Napoleone costrinsero Luigi ad abdicare ad un regno preso troppo sul serio. Incomincia da allora il suo vagabondaggio per l'Europa, sotto il nome di Conte di Saint - Leu, derivato da una proprietà di campagna di circa 70 ettari, presso la ridente vallata di Montmorency, nei dintorni di Parigi, acquistata da Luigi poco prima della sua avventura reale. Luigi si fissa sulle prime a Gratz, poi in Svizzera, quindi a Roma e Firenze, completamente separato dalla moglie Ortensia, cui intentò un processo che fece scandalo, nel 1815, per avere il figlio Napoleone Luigi, che alla fine gli venne assegnato. Luigi, sfinito per il trattamento di tre malattie veneree, che lo avevano colpito all'epoca delle prime battaglie napoleoniche in Italia, offeso da una paralisi parziale delle gambe, era ormai un monomane, che aggiungeva al delirio di grandezza quello di persecuzione. Nel suo stato di follia, calma ed ingannevole, Luigi, trasformatosi in poeta, scrive nel 1825 un saggio sulla versificazione, per sostenere l'opportunità di sopprimere le rime, pur conservando la cadenza nei versi (30).
Dopo il Congresso di Vienna, allorché nel 1815 le grandi potenze ridisegnano l'Europa, viene concesso a Luigi di stabilirsi negli Stati Romani, in virtú della sua sostanziale innocuità politica. Non sappiamo cosa l'abbia indotto ad acquistare da Eugenio la tenuta di Civitanova, resta comunque il fatto che, dopo Waterloo, i Napoleonidi nella diaspora finiscono quasi tutti per procurarsi un pied-à-terre nelle Marche, soprattutto in quell'angolo più marginale, sito a poca distanza dai confini del Regno di Napoli e nelle vicinanze del porto di Ancona (31). Il Conte Filippo Camerata Passionei, marito di Napoleona Elisa, figlia di Elisa Bonaparte Baciocchi, granduchessa di Toscana, aveva delle proprietà a Colle Ameno (fra Ancona e Senigallia); un conte Honorati, ammogliato a Giovanna, figlia di Luciano Bonaparte, principe di Canino, aveva anch'egli delle proprietà nell'anconetano; Ortensia Beauharnais-Bonaparte aveva dei terreni a Monte S. Vito (vicino Jesi); a Porto di Fermo (l'odierna Porto San Giorgio) si era costruito una villa, su disegno del Valadier, l'ex Re di Westfalia, Girolamo Bonaparte, principe di Monfort (33). Tutti questi possedimenti avranno un ruolo nei moti rivoluzionari italiani del 1831. Elemento comune tra gli stessi era il fatto di essere amministrati da ex ufficiali napoleonici, sempre pronti ad alimentare quanto fosse occasione di movimento politico e potesse quindi favorire il ritorno al potere di qualche napoleonide. I beni di Girolamo a Porto di Fermo furono amministrati fino al 1829 dall'ex colonnello Pier Damiano Armandi, un notevole personaggio che ebbe un ruolo considerevole nei moti del 1831 (34). Nello stesso periodo era amministratore della tenuta di Civitanova il colonnello Alessandro Olivieri, di Tivoli, un vecchio combattente di Marengo, di Wagram, della campagna di Russia e di Waterloo, che resse la proprietà di Luigi fino al 1830, ritirandosi poi a vivere a Monte S. Vito, dove venne raggiunto dall'Armandi, che gli subentrò nell'amministrazione della tenuta di Ortensia (35). I moti del 1831 rappresentano un episodio nodale per la famiglia di Ortensia e Luigi e per i loro figli, influendo soprattutto sulla personalità del minore, il futuro Napoleone III, che, una volta asceso al potere, darà un notevole contributo al raggiungimento dell'indipendenza italiana nei confronti dell'Austria. Dobbiamo allo storico maceratese Domenico Spadoni alcuni saggi densi di notizie su questi avvenimenti e agli stessi rinviamo il lettore per maggiori dettagli su tali vicende (31). Dopo la rivoluzione scoppiata a Parigi il 27 luglio del 1830, comportando la caduta dal trono di Francia di Carlo X, i Napoleonidi sparsi per l'Europa entrarono in agitazione, sussistendo la possibilità di un ritorno al potere di Napoleone II, il figlio di Napoleone tenuto quasi prigioniero a Vienna dal nonno e meglio noto come il duca di Reichstadt, che ispirò a Rostand il noto dramma L'aiglon (3').
I due figli di Luigi Bonaparte, Napoleone Luigi e Luigi Napoleone (il futuro Napoleone III), avevano, nel 1830, rispettivamente 26 e 22 anni. Il primo, che aveva sposato la cugina Carlotta, figlia di Giuseppe Bonaparte, ex re di Spagna, viveva con il padre a Firenze, mentre il secondo viveva in Svizzera, nel castello di Arenenberg (cantone di Thurgovia), con la madre Ortensia. Allo scoppio della rivoluzione a Parigi entrambi avrebbero voluto correre in quella città, per prendere la direzione degli insorti, ma ne furono impediti da Luigi Filippo d'Orléans, che non volle revocare il decreto che impediva ai Bonaparte di ritornare in Francia". Ortensia decise allora di condurre in Italia Luigi Napoleone, che all'epoca si trovava alla scuola militare di Thun, per divagarlo. Fatta una breve sosta dal padre, a Firenze, i due figli di Luigi, dopo aver preso contatto col modenese Ciro Menotti, vennero a Roma, ove entrarono in contatto con dei cospiratori che, sulla scorta degli avvenimenti francesi, credevano maturo il tempo per la caduta del governo pontificio e l'ascesa al potere del "Re di Roma". il figlio di Napoleone esiliato a Vienna (39). Il colpo di mano, che doveva essere tentato a Castel Sant'Angelo, fallì perché in casa del recanatese Vito Fedeli, affiliato alla carboneria romana, venne trovato il piano della cospirazione (40). I giovani figli di Luigi fuggirono in fretta da Roma, mentre nel frattempo i moti, che altrove erano falliti, ebbero successo a Bologna, subito dilatandosi nell'Emilia e nelle Marche; in queste ultime, soprattutto, ad opera degli ex colonnelli Armandi ed Olivieri, innanzi citati, che, ove il moto si fosse consolidato, avrebbero dovuto prenderne la guida, in stretto contatto con i Bonaparte. Poiché i moti sembravano avere una parvenza di successo, i figli di Luigi partirono di nascosto da Firenze, vestiti da cacciatori, per dirigersi in Umbria, onde impegnarsi ad organizzare la difesa della rivoluzione da Foligno a Civitacastellana, con l'obbiettivo di conquistare questa città, liberando i prigionieri di Stato custoditi nella fortezza, così sgombrando l'ultimo ostacolo sulla via di Roma. La partecipazione dei due giovani a questi moti fu quanto mai avventurosa: mentre i cardinali romani incominciavano a tuonare contro i Bonaparte, accusati di sobillare il loro Stato, Luigi, da Firenze, cercava in tutti i modi, tramite Armandi, suo fiduciario, di disimpegnare i propri figli, che rischiavano di compromettersi eccessivamente in una rivoluzione avventurosa. Armandi riuscì a portare i due giovani nella tenuta di Monte S. Vito, da dove scrisse il 3 marzo del 1831 ad Ortensia per tranquillizzarla, ma i due Napoleonidi, irrefrenabili, partono da qui per Ancona, onde recarsi a Bologna, ove la rivoluzione stava trionfando, col proposito di essere là utilizzati, per lo meno come volontari. A seguito dell'intervento degli Austriaci, dovendo Armandi provvedere alla difesa su un fronte più ampio, i due giovani vengono da questi momentaneamente lasciati a Forlì ed affidati al luogotenente Grabinski. Senonché il 9 marzo 1831 il maggiore dei due giovani, Napoleone Luigi, si ammala improvvisamente di rosolia, morendo dopo otto giorni. Questa morte è rimasta tuttora misteriosa, tanto che è stato persino avanzato il sospetto che il giovane possa essere deceduto a causa di un diverbio intervenuto con il Consiglio dei Carbonari, occasionato dal suo rifiuto di marciare su Roma, come era nei piani della rivoluzione (41). Ortensia si precipitò a Pesaro (44) in aiuto dell'unico figlio rimastole, lo portò in Ancona, e da qui riuscì avventurosamente a sfuggire agli austriaci, travestendo Luigi Napoleone da domestico e riportandolo in Svizzera (45).
La figura di Ortensia, intervenuta in questa vicenda in maniera decisa per salvare l'ultimo figlio dai contraccolpi di una rivoluzione affrontata quasi per gioco, meriterebbe qualche cenno più approfondito, anche se non ebbe mai collegamenti con la tenuta civitanovese, di proprietà del marito. Molte illazioni vennero a suo tempo fatte sulla paternità dei tre figli, ufficialmente nati dalla unione con Luigi. Venne persino prospettata l'ipotesi che il primo figlio, morto a cinque anni per angina difterica, fosse in realtà dello stesso Napoleone Bonaparte, ma tali voci sembrano prive di fondamento. . La paternità del secondo figlio, Napoleone Luigi, morto a Forlì come innanzi abbiamo visto, è stata da alcuni attribuita al conte Charles de Flahaut, figlio naturale di Charles Maurice de Talleyrand Périgord (47), mentre in ordine al terzo figlio, il futuro Napoleone III, si è accreditata l'indiscrezione che lo stesso sia stato concepito da uno scudiero olandese, il Conte Charles - Adam de Bylandt - Palterscamps (48). L'infelice vita sentimentale di Ortensia fu la conseguenza del suo infausto matrimonio con Luigi, un personaggio malaticcio, colpito da grave lesione al midollo spinale per malattie veneree malcurate (49). Ortensia fu sempre nelle simpatie di Napoleone ed anche l'imperatore di Russia, Alessandro, la prese sotto la sua protezione, facendole ottenere nel 1814, dal nuovo Re di Francia, Luigi XVIII, il titolo di duchessa di Saint-Leu e una rendita di 400.000 franchi (50). Ortensia era appassionata di musica e compose ella stessa arie di un certo interesse, pubblicate in un libretto, edito quando era ancora in vita`. Mala sua opera più interessante sono i Mémoires de la Reine Hortense, pubblicati per la prima volta in edizione integrale dopo la sua morte, avvenuta nel 1837, a 54 anni". Al di fuori del matrimonio Ortensia ebbe con il Conte di Flahaut un figlio naturale, nato il 15 settembre 1811, allevato dalla nonna paterna, Madame De Souza, che, sotto il nome di duca di Morny giocherà un ruolo importante nella storia francese, sia come artefice del colpo di Stato che porterà al potere il fratellastro, Napoleone III, sia come presidente della Camera dei Deputati sotto il secondo impero (53). I legami di Ortensia con il marito Luigi furono meramente formali e diedero luogo a procedure legali assai contrastate, esigendo Luigi, nel 1814, una separazione "legale, intera e perfetta", oltre all'assegnazione del maggiore dei figli (54). Nel 1845 Luigi, al momento del riscatto dell'Appannaggio di Eugenio da parte dello Stato Pontificio, comprò la tenuta di S. Vito, appartenuta alla moglie, nelle Marche, ma fu ben presto costretto a rivenderla (55).
Non è rimasta traccia dei criteri con cui venivano gestiti all'epoca i fondi civitanovesi facenti parte delle sue tenute. Sergio Anselmi, in un suo libro, ha trascritto il contratto di mezzadria, adottato da Massimiliano, Duca di Leucthemburg, figlio di Eugenio, sulle terre di sua proprietà a Senigallia (51). Il contratto in questione è assai interessante per la possibilità che ci consente di ricostruire in concreto i limiti di autonomia concessi al contadino nella vita dei campi; non è azzardato ritenere che rapporti di tipo analogo vigessero anche a Civitanova, data la colleganza talmente stretta tra i Napoleonidi, da far presumere l'utilizzo di modelli gestionali similari. Abbiamo casualmente rintracciato una lettera scritta da Luigi, il 15 marzo 1836, da Firenze, ad un Frisciotti non meglio identificato, nella quale si prospettano trattative sulle condizioni per l'affitto dei beni civitanovesi di Luigi. Riportiamo il testo integrale della lettera:
"...Stimatissimo sig. Frisciotti, rispondo alla di lei lettera del 10 corrente. Non posso in verun modo accettare una corrisposta annua, per l'affitto dei miei Beni di Civitanova, inferiore ai Francesconi 5.000, ossiano Romani Scudi 5.250 pagabili in Firenze. Parimenti non posso cedere all'affittuario il taglio della legna morta, e le altre cose già note le quali devono far fronte al trattamento di un mio agente. Se ella a queste condizioni ama entrare in questo affare, spero che potremo convenire su altre cose, diversamente si compiaccia di dirmelo sollecitamente affinché io possa prendere un. altro partito. Permettetemi di aggiungere che nel tempo di vostro Zio l'affitto era di 6.000 Scudi Romani in oltre gli incerti che gli servivano di provvisione; non vi meravigliate dunque se ricuso assolutamente di conchiudere l'affitto a meno di quanto ho esposto più sopra. Favorite, vi prego, darmi al più presto una risposta precisa per mio governo, e gradite, pregiatissimo sig. Frisciotti, il nuovo attestato della mia stima e distinta considerazione" (57).
Dalla lettera si desume che la proprietà di Civitanova, dopo i moti del '31, possa essere stata data in eran parte in affitto alla famiglia Frisciotti, una delle più rappresentative della città e probabilmente tale situazione può essersi protratta anche dopo la lettera innanzi citata. Per compiere ricerche più approfondite sulla gestione della tenuta, prima dell'avvento di Napoleone III, bisognerebbe però effettuare una ricerca più accurata nell'archivio storico comunale, dove probabilmente esisterà traccia dei soggetti che in qualche modo hanno avuto una diretta ingerenza su quei beni. Nel 1846 Luigi moriva a Livorno di congestione cerebrale, all'età di 69 anni. Il suo corpo e quello del figlio morto a Forlì riposano oggi nella chiesa di Saint-Leu. Prima di morire Luigi aveva fatto, il 1 ° dicembre 1845, un testamento con il quale nominava suo erede universale Luigi Napoleone:
"...Lascio tutti gli altri miei beni, il mio Palazzo di Firenze, il mio latifondo di Civitanova, tutti i miei beni mobili ed immobili, azioni e crediti, insomma tutto ciò che all'epoca della mia morte costituirà la mia eredità, al mio erede universale Luigi Napoleone, solo figlio che mi resta ed al quale figlio ed erede lascio, a testimonianza della mia tenerezza, la mia "Dunkerque" (una etagère) ch'è nella mia Biblioteca, con tutte le decorazioni e i ricordi che contiene. E come testimonianza ancora più particolare d'affetto, gli lascio tutti gli oggetti che sono appartenuti a mio fratello l'imperatore Napoleone".
All'epoca in cui venne compilato il testamento Luigi Napoleone si trovava rinchiuso nella fortezza di Ham, nel nord della Francia, ove rimase per 6 anni, dal 1840 al 1846, a scontare il fallimento del suo secondo tentativo insurrezionale di Boulogne (59). In precedenza Luigi Napoleone aveva tentato di compiere, nel 1836, un primo tentativo d'insurrezione, cercando di sollevare in Francia la truppa di una caserma a Strasburgo, ma venne arrestato ed esiliato in America. Furono probabilmente queste decise manifestazioni di carattere a contribuire al riavvicinamento a Luigi di questo figlio, nei confronti del quale il padre si era invece espresso criticamente, allorché scrisse al Papa per lamentare la partecipazione dello stesso ai moti rivoluzionari italiani del 1831:
"...Santo padre, il mio animo è pieno di tristezza! Ho avuto fremiti di indignazione nell'apprendere i tentativi criminali di mio figlio contro la vostra Santità. Il disgraziato è morto: che Dio gli faccia misericordia. Quanto all'altro che usurpa il mio nome, voi lo sapete, Santo padre, grazie a Dio, quello non m'appartiene. Ho avuto la sventura di avere per moglie una Messalina" (60).
Non riteniamo di condividere in quest'ultima lettera il giudizio negativo sull'ex moglie Ortensia, una donna che non poteva far altro che sfuggire un marito impotente, ma che, come madre, dedicò interamente la sua vita all'educazione e all'amore dei figli (61). Non appena evaso da Ham con una fuga rocambolesca, travestito da muratore (62), Napoleone cercò riparo in Inghilterra, tentando di organizzarsi una collocazione adeguata alle proprie ambizioni. Nel 1847 scriveva al suo segretario in Italia, Silvestro Poggioli:
"Mi trovo in grandi difficoltà a causa di somme che speravo di ricevere da voi e che non ricevo. Bisogna che voi facciate in modo di farmi avere nella maniera più assoluta 100.000 franchi, il più presto possibile, affinché io possa sistemare le mie faccende e pagare i miei debiti" (63).
Caduto vittima di alcune infelici combinazioni finanziarie Luigi Napoleone cercò di darsi al commercio e la cosa più strana che abbiamo scoperto è che in questo difficile frangente Luigi Napoleone abbia cercato di ricorrere alla sua tenuta di Civitanova per commerciarne in Inghilterra il vino. Egli infatti richiede al suo amministratore che gli si mandi da Civitanova:
"il vino più asciutto e non zuccherato, mescolato ad acquavite, affinché sopporti il mare e sia vicino al gusto degli inglesi" (64).
Non sappiamo quale seguito abbia avuto la cosa, comunque un fatto è certo: la tenuta di Civitanova è servita in qualche modo a far sopravvivere Luigi Napoleone per tutto il tempo in cui egli si è trovato in Inghilterra, fino al 1848, allorché ebbe la possibilità di ritornare in Francia, presentarsi alle elezioni ed avere la ventura di essere proclamato dal parlamento, il 10 dicembre 1848, Presidente della Repubblica. Napoleone III è il "Napoleonide" che più abbia dato a Civitanova, senza limitarsi alla semplice gestione della propria grande tenuta, avendo attivato nella cittadina una serie di iniziative che dovrebbero meritare verso la sua figura un'attenzione maggiore, da parte di chiunque abbia a cuore le tradizioni locali. Per un'approfondita ricostruzione della vita di questo personaggio rimandiamo al volume di Castelot (6ó), limitandoci in questa sede ad evidenziare i tratti più salienti del suo carattere. Asceso al potere, Louis-Napoléon aveva bisogno all'Elysée di una donna che organizzasse le proprie pubbliche relazioni. Nei primi anni fece affidamento su Mathilde Bonaparte, figlia di Girolamo B e sua cugina, per la quale aveva avuto in passato qualche simpatia. Il problema principale era però trovare al nuovo personaggio una consorte degna del suo ruolo, se non altro per fargli dimenticare l'amica inglese, Miss Howard, che l'aveva accompagnato a Parigi dall'Inghilterra e la cui frequentazione non era più giudicata "in" . Sembrava che Louis-Napoléon dovesse sposare Adelaide di Hoenlohe, nipote della regina d'Inghilterra, ma a sorpresa (61), nonostante l'avversità di Mathilde e del "principe Napoleone", ebbe il sopravvento su tutte le pretendenti Eugenia di Montijo, una spagnola andalusa, la cui madre, contessa di Teba, ed esponente di una delle più note famiglie iberiche, era all'epoca oggetto di consistenti pettegolezzi nel bel mondo parigino. Louis ebbe il classico colpo di fulmine. Erano molti i tratti di carattere comuni tra lui ed Eugenia: entrambi avevano vissuto a lungo all'estero, a contatto di società diverse da quella francese; entrambi, spiriti romantici, erano stati marcati dalle esperienze politiche del 1830 e, più ancora, da quell'utopismo che caratterizzò la vita politica francese del 1848. Dopo che Luigi divenne nel 1852 imperatore dei- francesi, dando avvio al secondo impero, il loro matrimonio venne celebrato a Parigi il 29 gennaio 1853. Cominciò da allora l'influenza culturale di Eugenia e dello spagnolismo in una Francia che si avviava ad inaugurare la belle époque. Napoleone autorizzò Eugenia a farsi una villa a Biarritz, al confine con la Spagna, e qui, nel 1856, venne costruita Villa Eugénie. Un episodio che lanciò subito una moda, probabilmente all'origine della Villa Eugenia civitanovese. Non sappiamo quando sia stata costruita la nostra villa; ci sembra però improbabile l'indicazione di Zavatti circa un'origine anteriore (69), dato che, soltanto con Napoleone III la nostra tenuta cominciò ad acquisire una fisionomia degna di questo nome. A Civitanova era, all'epoca, intendente generale di Napoleone l'ing. Paul Hallaire, siamo perciò propensi a ritenere che sia stato il medesimo ad attivarsi per dedicare all'imperatrice la nuova Villa (70).
La presenza della gestione Hallaire ha lasciato ampie tracce nella zona. Esiste una corrispondenza del medesimo con la locale Società Operaia nella quale questi, dopo la costituzione della stessa, dichiara la disponibilità della propria amministrazione ad offrire all'Ente 5 franchi al mese, nel primo anno di vita, e a devolvere successivamente la somma di 50 franchi, originariamente stanziata per la tradizionale corsa dei "Barberi", che si sarebbe dovuta tenere nella città". Esiste una sua copiosa corrispondenza con l'Assicurazione Reale Mutua, per coprire dal rischio della grandine i beni della tenuta civitanovese (72). Il medesimo partecipò altresì alla prima esposizione provinciale agricola di Ascoli, nel 1869 (73). Se teniamo presente che altri personaggi francesi vennero chiamati nel 1864 a dirigere l'Istituto d'arti e mestieri Montani di Fermo (74), abbiamo un quadro sufficientemente chiaro dell'importante ruolo giocato dalla presenza francese nello sviluppo della tecnologia e delle colture agricole in genere in quest'angolo delle Marche. Non bisogna infatti dimenticare che, nel 1855, Napoleone III aveva lanciato a Parigi l'Esposizione Universale, prima manifestazione del genere in Francia, nella quale 20.000 partecipanti esponevano i prodotti della propria arte e dell'industria. Questo forte impulso alla tecnologia, di cui sono testimoni settimanali quali "Le Monde illustré", fondato nell'aprile 1857, si diffuse indirettamente anche nelle nostre campagne, tramite le nuove esperienze di coltivazione portate avanti nella tenuta civitanovese che, per le sue dimensioni, ebbe un indubbio ruolo di stimolo sull'intera economia agricola dei dintorni. Napoleone III ebbe però un ruolo importante nella nostra città anche per altri motivi. All'epoca egli era il solo sovrano europeo che avesse una sincera apertura sociale. Non dobbiamo infatti dimenticare che, allorché venne rinchiuso per sei anni nella prigione di Ham, in Piccardia, Louis-Napoléon si era dedicato a concreti studi sull'estinzione del pauperismo, entrando in corrispondenza con celebri repubblicani quali: Béranger, Louis Blanc, George Sand's. Sulla spinta di queste larghe aperture sociali Napoleone III ed Eugenia fondarono a Civitanova due asili gratuiti: uno a Civitanova Alta, ad organizzare il quale fecero venire dalla cittadina francese di Albi le suore dell'ordine domenicano, le cui discendenti sono ancora ospitate nell'ex palazzo dell'amministrazione Bonaparte, in via A. Caro; un altro a Poggio Imperiale, nella campagna civitanovese, su un versante della contrada Grazie, sopra S. Marco, per curare appositamente i figli dei contadini. A cura dell'amministrazione Bonaparte vennero successivamente realizzati edifici scolastici rurali in contrada Castelletta e Monteserico, ed un forte sostegno venne dato all'Ospedale di Civitanova Alta (76). Il largo interesse della popolazione civitanovese per la famiglia imperiale, già rilevante per l'importante ruolo svolto da Napoleone III nell'alleanza con Vittorio Emanuele II, che portò alla liberazione dagli austriaci di gran parte del Nord-Italia, con le battaglie di Solferino e S. Martino, trovava pertanto ampia giustificazione anche a seguito di queste iniziative di carattere sociale, che portarono i civitanovesi ad una viva simpatia per le vicende della coppia imperiale, proprietaria di oltre metà del territorio civitanovese. Una testimonianza di questo affetto si trova ancora oggi in un appartamento di Civitanova Alta ove, in una camera, è affrescato, sotto una finestra, il volto di un giovanetto che la tradizione orale attribuisce al "re di Roma", il figlio di Napoleone I, segregato a Vienna. Gli anni d'oro della coppia imperiale vanno dal 1853 al 19 giugno 1867, data della fucilazione in Messico di Massimiliano, il giovane fratello dell'imperatore d'Austria, sul quale Napoleone III aveva puntato grosso, nella speranza di crearsi un impero coloniale a ridosso degli Stati Uniti.
Da questo momento in poi comincia la fase discendente del secondo impero. Napoleone, imbrigliato dai controlli sempre maggiori dell'impero "costituzionale", è costretto a moderare la politica di fasto, lusso e guerre di prestigio, che aveva caratterizzato fino allora la sua azione sul piano internazionale. La politica estera di Napoleone III segnerà battute d'arresto sempre più pesanti, a fronte dell'aggressiva presenza della Prussia sullo scacchiere internazionale. Nel 1866, dopo la battaglia di Sadowa, nella quale i prussiani schiacciarono gli austriaci, la Francia incomincia ad avvertire un profondo senso di frustrazione ed umiliazione che sarà, dopo qualche anno, la scaturigine del disastro militare che avrà fatali conseguenze sul secondo impero. Nel 1870 Napoleone III si lascia infatti invischiare in una guerra frontale con la Prussia e questo segna la sua fine. Dopo le sconfitte di Forbach e Sedan, Napoleone III è fatto prigioniero e condotto al castello di Wilhelmshohe, a pochi chilometri da Kassel, mentre Eugenia riesce avventurosamente a fuggire da una Parigi in subbuglio grazie all'aiuto del dott. Evans, dentista reale, ed installarsi in Inghilterra, a Camden Place, presso Chislehurst, un piccolo villaggio del Kent. Il primo marzo 1871 l'assemblea di Bordeaux dichiara la caduta di Napoleone III, mentre a Parigi per circa un anno infuria la Comune. Napoleone III, soprannominato Badinguet dai giornali repubblicani, raggiunse nel 1871 la moglie Eugenia nell'esilio inglese, in condizioni di salute già precarie, per morirvi il 9 gennaio 1873, quale conseguenza di un'infelice operazione di estrazione di calcoli dalla vescica. Pervennero ad Eugenia molte attestazioni di condoglianze, non molte dall'Italia, tra queste dobbiamo però segnalare il seguente telegrmma, spedito ad Eugenia, nella sua dimora di Chislehurst, da Civitanova, il 15 gennaio 1873, dal Sindaco Libani: "Municipio Civitanova esprime condoglianze Morte Napoleone III, cui popolazione è riconoscente tanti benefizi largiti (1). comincia a questo punto della lunga vedovanza di Eugenia. Un periodo protrattosi per quasi cinquant'anni, durante il quale l'ex-imperatrice si concentrò sull'educazione del figlio, il principe imperiale Louis-Napoléon-Eugène, sul quale veniva ormai riversata ogni speranza di risollevazione delle sorti dinastiche. Alla morte del marito Eugenia era rimasta reggente e tutrice del principe, fino alla sua maggiore età, non senza contrasti con il "principe Napoleone", che voleva contendere al nipote la guida del partito bonapartista, durante questo periodo di vuoto. Per chiarire le cose fu necessario ricorrere ad un testamento, compilato da Napoleone III, nel 1865, nel quale Eugenia veniva nominata erede di tutti i beni personali dell'imperatore. Fu così che anche la tenuta di Civitanova passò in proprietà all'ex-imperatrice, che seguitò a gestirla da lontano, tramite i suoi amministratori, residenti nella Villa Eugenia, sul magnifico poggio tra Civitanova Alta ed il mare (79). Il giovane Louis-Napoléon-Eugène, preso dalle responsabilità che ormai gravavano sulla sua persona, dopo la destituzione del padre, era stato sollecitato da Eugenia ad iscriversi diciottenne, nel 1872, a Wolwich, la grande scuola militare inglese, per incominciare in Inghilterra il proprio apprendistato di ufficiale, non ravvisandosi per il momento la possibilità di un ritorno in Francia. Il ragazzo, che già provava una viva passione per le armi e che sentiva su di sé il peso delle gravi responsabilità dinastiche, il 16 marzo 1874 venne fatto oggetto di una grande manifestazione in suo onore, organizzata dai bonapartisti, che lo fecero dichiarare pronto a porsi, come Napoleone IV, nel caso si fosse presentata ancora una volta la possibilità di rifondere un nuovo Impero: il Terzo, dato che il sentimento bonapartista rimaneva ancora vivo presso il popolo francese, mentre la Repubblica, che aveva schiacciato la Comune, non sembrava contare su una decisa popolarità.
Nel febbraio 1879 il giovane principe, senza consultare Eugenia, tutto preso dall'emulazione per i propri compagni di corso, che facevano parte di un contingente spedito dal governo inglese nell'Africa coloniale del sud ed emozionato dalla possibilità di indossare un'uniforme militare, decise anche lui di partire volontario per l'Africa con i propri compagni. Il primo giugno 1879 Louis-Napoléon-Eugène moriva nello Zululand, nel corso di un'imboscata, tesa dagli Zulù ad una pattuglia inglese andata in avanscoperta. Mentre alcuni soldati cadevano, gli altri si diedero precipitosamente alla fuga. Il giovane principe cercò di afferrare il proprio cavallo, ma questi gli sfuggì di mano, venendo così a trovarsi solo, di fronte ad una massa di Zulù che gli lanciarono colpi di zagaglia da tutte le parti. Furono diciotto i colpi ricevuti dal suo infelice corpo. Gli Zulù gli strapparono un occhio e i vestiti, portandogli via anche le armi ed il casco. Il fatto creò grande scalpore in tutta Europa. II capitano Carrey, che guidava la pattuglia di cui faceva parte il principe, venne deferito alla corte marziale, per essere degradato, sotto l'accusa di fuga di fronte al nemico. Ufficialmente venne assolto e conservò il grado, ma fu inviato nelle Indie, ove morì circondato da disprezzo. La decisione di assoluzione fu probabilmente influenzata da una lettera inviata da Eugenia alla Corte, nella quale la stessa scriveva:
"La sola fonte di consolazione terrestre la fondo sull'idea che il mio ragazzo amatissimo sia caduto come soldato, obbedendo agli ordini, in un servizio comandato. Basta con le recriminazioni. Che il ricordo della sua morte unisca in un comune rimpianto tutti quelli che l'amavano e che nessuno abbia a soffrire nella propria reputazione o nei propri interessi. Io, che non posso più nulla desiderare sulla terra, lo chiedo come ultima preghiera (80). Sulla scia dell'emozione suscitata in tutta Europa dalla morte del giovane principe, anche Giosuè Carducci, il vate ufficiale dell'Italia post-risorgimentale, scrisse una poesia dedicata alla solitudine dei "Napoleonidi", dopo la morte dell'ultimo illustre componente della prestigiosa dinastia". Ci sembra interessante riportarla, nel contesto della nostra rievocazione, per consentire al lettore di farsi un quadro reale dei sentimenti dell'epoca:
PER LA MORTE DI NAPOLEONE EUGENIO
Questo la inconscia zagaglia barbara prostrò, spegnendo li occhi di fulgida vita sorrisi da i fantasmi fluttuanti ne l'azzurro immenso. L'altro, di baci sazio in austriache piùme e sognante su falbe gelide le diane e il rullo pugnace, piegò come pallido giacinto. Ambo a le madri lungi; e le morbide chiome fiorenti di puerizia pareano aspettare anche il solco de la materna carezza. In vece balzar nel buio, giovinette anime, senza conforti; né de la patria l'eloquio seguivali al passo co' i suoni de l'amore e de la gloria. Non questo, o fosco figlio d'Ortensia, non questo avevi promesso al parvolo; gli pregasti in faccia a Parigi lontani i fati del re di Roma. Vittoria e pace da Sebastopoli sopìan co `l rombo de l'ali candide il piccolo: Europa ammirava: la Colonna splendea come un faro. Ma di decembre, ma di brumaio cruento è il fango, la nebbia è perfida: non crescono arbusti a quell'aure, o dan frutti di cenere e tòsco. Oh solitaria casa d'Aiaccio, cui verdi e grandi le quercie ombreggiano e i poggi coronan sereni e davanti le risuona il mare! Ivi Letizia, bel nome italico che ormai sventura suona ne i secoli, fu sposa, fu madre felice, ahi troppo breve stagione! ed ivi, lanciata a i troni l'ultima folgore, date concordi leggi tra i popoli, dovevi, o consol, ritrarti fra il mare e Dio cui tu credevi. Domestica ombra Letizia or abita la vuota casa; non lei di Cesare il raggio precinse: la còrsa madre visse fra le tombe e l'are. II suo fatale da gli occhi d'aquila, le figlie come l'aurora splendide, frementi speranze i nepoti, tutti giacquer, tutti a lei lontano. Sta nella notte la còrsa Niobe, sta sulla porta donde al battesimo le uscìano i figli, e le braccia fiera tende su selvaggio mare: e chiama, chiama, se da l'Americhe, se di Britannia, se da l'arsa Africa alcun di sua tragica prole spinto da morte le approdi in seno.
Ma la storia continua. Nonostante l'estinzione di questo ulteriore ramo dei Bonaparte, restava da individuare il soggetto cui affidare la responsabilità della continuazione della politica di questa casata. La cosa venne risolta dalla lettura del testamento di Louis Napoléon-Eugène, consegnato dal giovane principe all'ex segretario privato di Napoleone III, il corso Pietri, il giorno stesso della sua partenza per l'Africa. II testamento così diceva: "I doveri della nostra casa non si estinguono con la mia vita. Alla mia morte il compito di continuare l'opera di Napoleone I z di napoleone III toccherà al figlio maggiore del principe Napoleone" (83). Così decidendo, in tutta libertà, senza l'influenza della madre, di scartare dalla successione imperiale quello che era ritenuto il legittimo erede: il cosiddetto "principe Napoleone", figlio di Gerolamo re di Westfalia", il giovane figlio di Napoleone III si lasciava forse guidare dai difficili rapporti che il "principe Napoleone" aveva avuto da sempre con Eugenia. La sua decisione comportava un indubbio giudizio critico verso un personaggio che ha comunque avuto la sua importanza, nel contesto del Risorgimento italiano, e che è da molti ricordato con il soprannome di "Plon-Plon". Il figlio di "Plon-Plon", Victor, accettò di essere riconosciuto quale capo ufficiale della famiglia Bonaparte e del partito bonapartista e ciò gli causerà la rottura nei rapporti col padre. Prima di passare a Victor, la persona che subentrerà ad Eugenia nella tenuta civitanovese, dopo la morte dell'imperatrice, seguiamo le vicende della proprietà civitanovese nell'ultimo periodo della vita di Eugenia. assicurare all'amministrazione della tenuta una somma di L. 60.000, al netto di ogni passività. A garanzia del rispetto degli impegni di cui sopra Tebaldi avrebbe costituito un'ipoteca di L. 20.000, su una sua proprietà personale, sita in Loreto dell' estensione ettari. Tebaldi si impegnava altresì a presentare al conte Arese i conti mensili dell'amministrazione, la cui contabilità sarebbe stata affidata a persona indicata da questi. Il contratto di cui sopra avrebbe avuto una durata minima di 9 anni, con potere per il conte Arese di dare disdetta, anche nel corso di ogni singolo anno, dietro semplice preavviso di tre mesi. A Tebaldi, in compenso delle sue prestazioni, sarebbe stata concessa la metà dei ricavi della tenuta, eccedenti le L. 60.000 che dovevano essere garantite ad Eugenia.
Il valore del bestiame esistente all'atto del contratto veniva stimato in L. 99.768. Tebaldi non avrebbe potuto eseguire migliorie, a spese dell'Amministrazione della tenuta, se non dietro autorizzazione del conte Arese. A Giacinto successe nella gestione della tenuta il figlio Celso Tebaldi che partecipò attivamente alla vita politico-amministrativa dell'epoca, segnalandosi per una progressiva rivalità con il marchese Paolo Ricci, principale uomo politico della zona (g9). Il ruolo dei Tebaldi a Civitanova andrebbe meglio approfondito, tramite un apposito studio che dovrebbe portare a ricerche più dettagliate anche a Macerata. Egli fu infatti consigliere provinciale per 23 anni, dal 1892 al 1914; consigliere comunale di Civitanova in vari periodi; commissario del Manicomio provinciale di Macerata; fondatore del Consorzio Agrario nel 1898 e membro dell'Unione Ippica. Fu seguace attivo ed autorevole del Partito liberale, per il quale si presentò candidato in diverse consultazioni politiche, assumendo un profilo più radicale rispetto a quello tradizionale di Paolo Ricci. Si spense a Villa Eugenia, diventata per oltre trent'anni la residenza personale della sua famiglia. Oltre che politico, Celso Tebaldi fu anche un valente allevatore di cavalli. I migliori prodotti delle sue scuderie vennero premiati in vari concorsi per allevatori, e rivaleggiarono con quelli del conte Conti, all'epoca uno dei maggiori patiti dell'ippica (90).
Alla morte di Eugenia la sua consistente proprietà personale venne divisa in tre parti: un terzo andò al principe Vittorio Napoleone, figlio di "Plon-Plon" e marito della principessa Clementina, figlia del re del Belgio Leopoldo II; un terzo al Duca d'Alba, il cui padre aveva sposato nel 1844 la sorella di Eugenia, Paca; ed un terzo alla duchesa Tamamès. Il principe Vittorio, quale tutore del figlio Luigi, cui Eugenia aveva lasciato con proprio testamento olografo del 30 settembre 1916, i propri beni in Italia, poté però entrare in possesso della tenuta di Civitanova soltanto per pochi anni, giacché morì, dopo soli sei anni, nel 1926. Negli ultimi anni di vita Eugenia aveva avuto modo di familiarizzare molto con la famiglia di Vittorio, ospitandolo, assieme alla moglie Clementina e ai due figli, quando Bruxelles venne invasa dai tedeschi, durante la prima guerra mondiale'. Victor, investito del ruolo di rappresentante ufficiale della famiglia Bonaparte, quale segno di riconoscenza verso il ramo dei Bonaparte da cui proveniva Napoleone III, promosse la pubblicazione dell'edizione integrale dei Mémoires de la Reine Hortense, la madre dell'imperatore, i cui ricordi erano rimasti sino allora inediti. Il libro uscì nel 1927, un anno dopo la morte di Victor, e fu curato da Jean Hanoteau, che nella prefazione racconta estesamente le avventurose peripezie del carteggio lasciato da Ortensia e l'importante ruolo svolto dal principe Victor nel completamento della pubblicazione (92). Negli ultimi anni della gestione Tebaldi e dopo la morte di questi la tenuta civitanovese era rimasta un po' indietro, rispetto alle esigenze di continuo ammodernamento. Il contratto di compartecipazione agli utili, che era stato stipulato con Tebaldi, non era in fondo lo strumento più idoneo al potenziamento dell'amministrazione, tanto più che Eugenia non aveva bisogno di quelle somme per vivere, potendo disporre di vaste risorse in tutta Europa. La carenza di investimenti era stata ancor più accentuata dal fatto che era opinione quasi generale che la tenuta potesse essere oggetto di vendita, prima della morte di Eugenia. Questo stato di incertezze cessò nel 1924, quando il Principe Vittorio e, alla sua morte, la moglie Clementina, presero in mano la situazione, decidendo il potenziamento della gestione civitanovese (93). Venne promossa una politica di miglioramento di tutte le case coloniche, sulle quali troneggiava, in maiolica, la simbolica "N" (Napoleone) coronata, ed una decisa politica di investimenti agricoli venne subito avviata. Su tali decisioni influì probabilmente l'accentuazione degli interessi coltivati all'epoca dai Bonaparte in Italia. Il nostro Paese aveva conosciuto da poco l'avvento del fascismo, imboccando una decisa politica nazionalistica. La zia dell'attuale principe, Laetizia Bonaparte, sorella di Victor, aveva sposato Amedeo Duca D'Aosta, ed in precedenza il nonno, "Plon-Plon", aveva sposato Clotilde di Savoia, cosicché, durante il periodo del Regno d'Italia, il nuovo ramo dei Bonaparte poteva dirsi chiaramente orientato verso una maggiore attenzione a quanto potesse svilupparsi di nuovo nel nostro paese. Viene ancora conservata la memoria di una visita alla tenuta, fatta nel 1931 dall'attuale principe Louis-Napoléon. Questi aveva all'epoca quasi diciotto anni e la foto che siamo riusciti a reperire ce lo rappresenta in calzoni alla zuava, tra alcuni dipendenti della tenuta, di fronte alla casa colonica "Clotilde", appena costruita nel 1928 e abitata dai coloni Marsili (94). La visita del principe venne da alcuni interpretata in termini critici verso la precedente gestione Tebaldi, ed in tal senso si espres se un articolista civitanovese che inviò una corrispondenza al "Giornale d'Italia", pubblicata con il titolo: "Il principe Napoleone a Villa Eugenia".
A rettifica dei giudizi espressi in quell'articolo abbiamo rinvenuto una lettera di D. Pinolini, direttore della Cattedra Ambulante di Agricoltura di Macerata (95), nella quale troviamo espressi giudizi più che positivi su Tebaldi, considerato l'interprete di una moderna industria agricola. Citiamo alcuni passi significativi della lettera, perché gli stessi ci mettono in condizione di apprezzare l'importanza di questa tenuta, considerata la prima della provincia maceratese: "...Stando da sei ad otto ore giornaliere a cavallo, percorrendo i cento poderi in ogni senso, dotato di solidi studi, avendo frequentato la Scuola superiore di agricoltura di Milano, essendo in continua lotta con i numerosi coloni, ha saputo lentamente, ma in modo graduale, imporsi ed acquistare la piena fiducia dei contadini..."
"...È stato il primo a far largo uso di perfosfati e di concimi chimici in genere; ha introdotto la rotazione sessennale; ha introdotto e diffuso il "gentil rosso"; ha fatto una concimazione razionale; ha migliorato sensibilemente il bestiame e ha saputo rendere la tenuta Bonaparte veramente una tenuta modello, tale che annualmente gli studenti della Scuola superiore di Milano e di Portici venivano a visitarla per constatare di presenza i benefici ottenibili da una saggia e razionale teoria..."
La lettera di Pinolini fa però intravedere un'altra circostanza importante: il principe Victor e la moglie Clementina si sarebbero indotti ad assumere direttamente la gestione della tenuta a seguito di "numerose lettere, più o meno anonime, a loro inviate". L'indiscrezione ci attesta l'esistenza nella città di una fronda sotterranea nei confronti del personaggio che nella sostanza ne rappresentava il Signore di fatto, rispetto alle autorità più o meno ufficiali. Per saperne qualcosa di più bisognerebbe scavare più a fondo in qualche archivio e per questo auspichiamo che qualche giovane studioso possa sentirsi stimolato a ricerche in tal senso. Il principe Victor e la moglie Clementina chiamarono addirittura a reggere la tenuta il Duca D'Aosta, zio del giovane principe Louis, che si accinse al compito delegando allo scopo il suo segretario, colonnello Villasanta, che da Roma dava disposizioni sulla gestione. I famosi "100 terreni" della tenuta Bonaparte avevano un'amministrazione centralizzata nel palazzo di via A. Caro, adiacente al convento delle domenicane. La contabilità era ultimamente curata dal Rag. Bergamo. A Civitanova Alta si trovavano altresì il frantoio, i magazzeni e gli uffici amministrativi. Sul finire gli uffici vennero portati a Villa Eugenia e i magazzeni vennero ricavati nell'area ove oggi insiste l'Istituto professionale di Stato, in prossimità della villa. L'attività produttiva era articolata su tre fattorie. La prima, cui facevano capo tutti i terreni di Piane Chienti, era gestita dal fattore Paffetti; la seconda, cui facevano capo i terreni dell'Asola, si trovava a Poggio Imperiale, ed era gestita dal fattore Biondi; la terza, Fontespina, era gestita dal fattore Lapi. Nel dopoguerra, sia per l'influenza delle leggi contro il latifondo, che per il nuovo quadro politico, che aveva portato alla caduta della monarchia dei Savoia, venne dato il via ad una graduale politica di smobilitazione della tenuta, sui particolari della quale bisognerebbe promuovere studi più dettagliati, essendomi in questa sede limitato a raccogliere le dichiarazioni orali di qualche protagonista. I terreni dell'Asola vennero acquistati direttamente dagli stessi contadini, in virtù delle agevolazioni della Cassa per la piccola proprietà contadina. Sia il conte Sabatucci che il dott. Roberto Volpini di Porto Recanati si occuparono all'epoca della cosa. Questo gruppo di terreni, della consistenza di circa 500 ettari, unitamente alle case coloniche, venne venduto per 272 milioni , un prezzo più accessibile, in quanto in posizione collinare, rispetto ai terreni irrigui di Piane Chienti, cui l'azienda attribuiva un valore di mercato maggiore. Le particolari facilitazioni offerte ai contadini che gravitavano su Civitanova Alta, nel periodo più caldo del dopoguerra "centrista", allorché Civitanova era appena reduce dal tentativo di una nuova separazione tra i due centri, occasionarono le proteste dei contadini gravitanti verso il Porto, i quali, verso il 1953, aprirono un'energica vertenza nei confronti degli amministratori della tenuta, arrivando persino all'occupazione di Villa Eugenia. Dal gruppo dei 500 ettari di terra venne esclusa la residenza di Poggio Imperiale, che sulle prime venne assegnata al Vescovo di Fermo, che ne fece una colonia estiva per i figli degli assegnatari, per circa una quindicina d'anni, poi da quest'ente venne ceduta all'Asilo della Pietà di Macerata, che negli ultimi anni l'ha venduta a privati. Le vicende dello scorporo dei terreni della tenuta vennero all'epoca seguite assiduamente dal sen. Carelli (DC), e da Don Romeo Pantaloni, l'energico Arciprete di Civitanova Alta, segnalatosi come uno dei paladini del separatismo nei confronti del Porto, e dal dott. Volpini di Porto Recanati. Durante i "caldi" anni cinquanta la più importante tenuta dell'intera provincia veniva così messa a sacco e smobilitata nella maniera più clientelare possibile, approfittando del desiderio dell'attuale principe, ormai demotivato, di abbandonare ogni possibile fonte di seccature in Italia, per investirne il ricavato nella colonia del Congo Belga, ove lo stesso avrebbe avuto la possibilità di meglio soddisfare la propria passione per la caccia.
Civitanova non dovette però subire il solo smembramento della tenuta. Vi fu anche una corsa alla parcellizzazione delle aree site a ridosso della stessa Villa Eugenia, fatto questo che diede il via alla più massiccia delle speculazioni immobiliari possibili, approfittando della circostanza che all'epoca la città non aveva ancora un piano regolatore e che le lottizzazioni di fatto vennero in qualche modo imbrigliate soltanto con la "legge ponte" del 6 agosto 1967. Il principe Bonaparte, dal suo castello di Prangins (96), in Svizzera, sul lago Lemano, conferì al proprio procuratore speciale Jean Joseph Fleury l'incarico di smobilizzare tutta la proprietà civitanovese. Fleury trasferì a sua volta questo incarico speciale al conte Oliviero Bucci Casari di Roma, che, sostenuto da vari operatori edilizi locali, ben ammanicati con le amministrazioni comunali dell'epoca, diede il via alla lottizzazione a tappeto di tutto il pendio sud di Villa Eugenia (97). Agli inizi del 1960 erano stati smobilizzati tutti i terreni agricoli; era stata smantellata la zona ad est della Villa; rimaneva ancora al principe la proprietà della Villa e delle aree ubicate ai lati sud, nord ed ovest della stessa, tra l'attuale autostrada e Civitanova. Nel frattempo la situazione politica in Francia era caratterizzata da gravi tensioni, per il reclamo dell'indipendenza da parte dell'Algeria, osteggiata dai tanti colonizzatori francesi, i cosiddetti pieds noirs, che oltremare si erano creati fortune e che si battevano perché l'Algeria rimanesse parte della madrepatria. Su questi temi la Francia era divisa in due e una forte guerriglia a base di attentati si diffuse sul territorio metropolitano. De Gaulle venne chiamato al potere, mentre in Francia personaggi come Jacques Soustellelg e Georges Bidault 99 allacciavano collegamenti con i generali, autori nell'aprile 1961 del putsch di Algeri, sostenuti dall'OAS, un'organizzazione terroristica che seminava stragi ad Algeri e nella metropoli. In mezzo a questa confusione generale, un bel giorno i giornali nazionali pubblicarono in prima pagina la notizia che Georges Bidault, presidente onorario del MRP (la DC francese), entrato in clandestinità per protesta contro la politica di De Gaulle, ritenuto sostanzialmente ostile alla linea dell'Algeria francese, era stato segnalato nel settembre 1962, quale ospite di Villa Eugenia a Civitanova Marche. La cosa non venne molto sviluppata dalla stampa nazionale, che non diede alla sorprendente notizia il commento che il fatto avrebbe meritato.
L'episodio era in realtà l'ulteriore prova di una costante della politica bonapartista degli ultimi cento anni, sfruttare ogni occasione di movimento e messa in crisi dei poteri istituzionali, per aprire possibili varchi ad un quanto mai ipotetico ritorno ai fasti del potere. La presenza di Bidault a Villa Eugenia era la dimostrazione provata che l'attuale principe Louis era ancora disposto a giocare qualche carta per un ritorno in auge. Non sappiamo quali passi abbia fatto il governo francese verso il principe: una cosa è certa, da quel momento in poi il principe Louis ha ulteriormente accelerato la già chiara politica di smobilizzazione dei suoi beni civitanovesi. Tutto l'archivio privato della sua famiglia venne donato agli Archivi Nazionali di Parigi; la Villa Eugenia venne venduta a magnati dell'emergente settore calzaturiero (sotto l'usbergo della Lumar S.p.A. di Torino); le aree limitrofe alla Villa, classificata dalla Soprintendenza come Bene storico, degno di particolare tutela, in occasione dell'adozione del Piano regolatore di Civitanova, nel 1975, vennero inserite tra le aree edificabili, tramite provvidenziali interventi dell'ultim'ora. Le pertinenze della Villa, quali la casa del custode, le scuderie, ecc. furono separatamente vendute ad imprenditori del luogo, uno dei quali ha almeno avuto il buon gusto di far arredare il bene acquistato da uno dei designers più paradossali ed originali della scena artistica italiana: Luigi Serafini, il cui arredo civitanovese ha avuto addirittura l'onore del commento di Vittorio Sgarbi su una rubrica da questi tenuta nel periodico 'L'Europeo' (100). La storica dimora di Villa Eugenia è così rimasta nuda e cruda a testimoniare i fasti di un glorioso e storico passato. Il suo giardino è in abbandono; il suo tetto fa acqua da tutte le parti; i mobili e i dipinti che l'arredavano sono stati depredati e dispersi; rimangono in piedi quattro mura a testimoniare, dinanzi alla volgarità del presente, le ragioni di una presenza ed il fascino di un passato, che la città non potrà mai dimenticare, anche se, a dire il vero, fino ad oggi si è fatto di tutto per farlo cadere interessatamente nell'oblio. Riusciranno le future amministrazioni comunali ad avere uno scatto di dignità e rendersi conto che il recupero, la conservazione ed il rilancio di questa Villa sono patrimonio dell'intera città, che deve essere orgogliosa di annoverarne la presenza nel suo seno. È una domanda che non pongo soltanto a me stesso ma a tutti i cultori della storia e delle tradizioni locali, affinché diano un deciso sostegno a quanti si batteranno in futuro per la salvaguardia del più prestigioso bene storico-ambientale della città.
NOTE:
(1) Per un' aggiornata biografia di Napoleone rinviamo a André Castelot, Histoire de Napoléon Bonaparte, in dieci volumi, ed. Tallandier, Paris 1969, il più autorevole degli studiosi contemporanei dell'epoca napoleonica.
(2) Sui motivi di timore che indussero il Papa ad una pace affrettata, che lasciava il suo Stato in gravi difficoltà finanziarie, vedi: Hénault-Michaud Abregé chronologique de l'histoire de France, Paris, 1836, p. 585. Vedi altresì EMILIO CANU: Le operazioni di guerra nelle Marche nel 1797 e nel 1815 nella "Gazette Nationale ou le Moniteur Universel", in Studi Maceratesi, n. 8, pp. 569-578. Nelle Marche lo Stato Pontificio si estendeva all'epoca da Pesaro a Fermo. Teramo era infatti inclusa nel Regno di Napoli (vedi L. Madelin La Rome de Napoléon, Paris, 1906, p. 28).
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(3) MONALDO LEOPARDI, Autobiografia, Longanesi, Milano 1971, pp. 92-115, dove vengono descritte la battaglia di Faenza, la presa di Ancona, l'arrivo dei Francesi a Loreto e Recanati, e la pace di Tolentino. (4) Il raro opuscolo Descrizione della caduta di Macerata, capo della provincia della Marca anconitana. Presa per assalto dalle truppe francesi e Legionarie Romane, dagli Ebrei e patrioti Anconitani il dì 5 luglio 1799. - Lettera di un maceratese ad un suo amico di Pavia, è stato da noi casualmente rinvenuto da un antiquario. Siamo in possesso di una fotocopia dello stesso, augurandoci una sua ristampa da parte di qualche ente pubblico
(5) DANTE CECCHI, Civitanova feudo della nobile famiglia Cesarini, in "Studi Maceratesi", n. 16, p. 240, nota n. 65. (6) DANTE CECCHI, L'organizzazione amministrativa nel dipartimento del Musone (1798-1799) in "Quaderni storici delle Marche", n. 9, pp. 523-592 e n. 10, pp. 131-203.
(7) M.A.B. MANGOURIT, Defense d Ancone et des départements Romains, le Tronto, le Musone et le Metauro par le Général Monnier aux années VII et VIII, Paris 1802. (8) DANTE CECCHI, L'organizzazione amministrativa nella legazione apostolica di Macerata durante la prima Restaurazione (1800 - 1808), in "Studi Maceratesi" n. 8, pp. 151-324.
(9) DANTE CECCH1, La prima Restaurazione, in "Studi Maceratesi", n. 8 pp. 161 e 170-181; e opera citata alla nota 5), pp. 240 e 245. (10) L. MADELIN, La Rome de Napoléon, cit., p. 179 e GIOVANNI MONTI GUARNIERI, Annali di Senigallia, Senigallia 1961, p. 274.
(11) C. ZAGHI, L'Italia giacobina, Utet, Torino 1989, p. 212. (12) J. AUTIN, Eugène de Beauharnais, Perrin, Paris, 1989 p. 116. Per una approfondita disamina delle vicende italiane durante il periodo napoleonico vedi: CARLO BOTTA, Histoire d'Italie de 1789 à 1814 ed. Dufart, Paris 1824, in 5 volumi.
(13) Ibid, p. 350. (14) C. ZAGHI, L'Italia di Napoleone, Utet, Torino, 1989, p. 109.
(15) L. MADELIN, La Rome de Napoléon, p. 176. E.TARLE, La vita economica dell'Italia nell'età napoleonica, Einaudi, Torino 1950, p. 57. (16) TIZIANA MARIA GUIDUCCI, L'appannaggio di Eugenio Beauharnais nelle Marche 1816-1845 (dissertazione di laurea, università di Urbino, relatore W. Angelini, anno accademico 1978-79). Si tratta del lavoro diligente di una giovane studiosa di Pergola, lo stesso paese in cui vive Sandro Sebastianelli, che sta attualmente compiendo studi sulla problematica dell'Appannaggio. GIOVANNI MONTI GUARNIERI, Annali di Senigallia, cit. p. 349.
(17) E. TARLE, op. cit., p. 61. (18) GIOVANNI TASSONI, Arti e tradizioni popolari. Le inchieste napoleoniche sui costumi e le tradizioni nel Regno Italico. Bellinzona 1973, p. 30.
(19) Bollettino leggi e decreti del regno d'Italia, parte 1 a, (dal 1 gennaio al 30 giugno 1810), pag. 194. (20) J. AUTIN, op. cit., pp. 337 e 382.
(21) Eugenio muore a 43 anni di apoplessia nel 1824. Per approfondimenti sulla sua figura, oltre al libro di Autin già indicato, segnaliamo A. LANCELOTTI Napoleone in famiglia, Venezia 1945, che gli dedica il terzo capitolo. Napoleone lo considerò sempre uno zelante esecutore, ma mai un valente stratega. Nel 1813 partecipò alla campagna di Russia, comandando il IV Corpo d'Armata, composto tutto di italiani provenienti dal suo Regno. Dell'Armata d'Italia, formata di 27.800 uomini, soltanto 233 poterono ritornare, in condizioni pietose, ad Heilsburg (vedi A. LANCELLOTTI, op. cit., p. 200). (22) SERGIO ANSELMI, Economia e vita sociale in una regione italiana tra Sette e Ottocento, Urbino, Argalia, p. 257. WERTHER ANGELINI, Dall'occupazione francese di fine Settecento all'Unità in "La provincia di Ancona. Storia di un territorio", Bari 1987, p. 82. L'atto di enfiteusi fu rogato a Roma 1'8 maggio 1816. La Santa Sede era rappresentata dal Cardinal Luigi Hercolani ed Eugenio da Antonio Re, Intendente generale, in base all'art. 64 del Protocollo di Vienna.
(23) Per comprendere l'importanza di questi cespiti basta considerare che il valore complessivo dell'intera Agenzia di Jesi e Loreto era stimato in L. 3.756.140,62, ragguagliato in scudi Romani 702.082,36. L'estensione dei beni civitanovesi è indicata nell'atto di enfiteusi sopra citato in some 477, coppe 7, canne 4. Per comprendere i valori attuali di queste indicazioni occorre tener presente che una canna misurava mq. 19.367; una coppa (cento canne) mq. 1.966,69 (1/8 di ettaro); e la soma (8 coppe) mq. 15.973,54. (24) ALESSANDRO FRISCIOTTI, Memorie per la elevazione di Civitanova Marche a Città, Loreto 1831, p. 28.
(25) Archivio di Stato, Roma, Fondo Camerale, Atti Appannaggio Beauharnais. (26) Nell'atto di riscatto del 3 aprile 1845 la superficie complessiva dei beni restituiti allo Stato della Chiesa viene indicata in ettari 28.708., rispetto all'estensione di ettari 30.488, indicata nell'atto di enfiteusi del 1816. Furono pertanto 1780 gli ettari venduti nel frattempo da Eugenio e dai suoi eredi; tra questi i beni di Civitanova, rappresentanti circa 600 ettari, venduti a Luigi Bonaparte.
(27) ANDRÉ CASTELOT Napoléon III et le second Empire, Tallandier, Paris, 1973, p. 22, vol. I, ARTURO LANCELLOTTI I Napoleonidi, Staderini, 1963, pp. 283-329 (rievocazione di Luigi, Re d'Olanda). (28) ARTURO LANCELLOTTI Napoleone in famiglia, Venezia 1945, pag. 134. Nello studio relativo al profilo di Ortensia viene riportato un passo delle memorie di Luigi nel quale questi dichiara "...in oltre quattordici anni non siamo andati una sola volta d'accordo. In un periodo di tempo così lungo, abbiamo vissuto assieme solo tre mesi e sempre con un'inconciliabile avversione reciproca". Viene riportato un giudizio su questo matrimonio più oltre (p. 148), espresso da Napoleone a Sant'Elena "...Ortensia, sì buona, sì generosa, sì devota, non ha mancato di torti verso suo marito; debbo convenirne, all'infuori di tutto l'affetto che le porto e del sincero attaccamento ch'essa ha per me. Per quanto bizzarro e insopportabile fosse stato Luigi, tuttavia l'amava, e, in casi simili, con sì gravi interessi da tutelare, qualunque donna deve sempre sapersi vincere ed avere l'abilità di amare a propria volta. Se avesse saputo dominarsi, si sarebbe risparmiata i dispiaceri dei suoi ultimi processi; avrebbe trascorso una vita più felice; avrebbe seguito suo marito in Olanda e vi sarebbe rimasta; Luigi non sarebbe scappato ad Amsterdam; io non mi sarei visto costretto a riunir questo Paese all'Impero, ciò che ha contribuito a perdermi in Europa, e molte cose avrebbero preso un altro corso".
(29) A. CASTELOT Napoléon III..., op. cit., vol. 1 p. 42. (30) Mémoire sur la versification et essais divers par le Comte de Saint-Leu, Firenze 1819. Luigi scrisse anche altre opere, tra cui: Marie ou les peines d'amour (Romanzo); Odes; Histoire du parlement anglais jusqu'en l'an VII; Documents historiques sur le gouvernement de la Hollande; Recueil de poésies; Réponse à Sir Walter Scott à propos de sa vie de Napoléon; Observations sur l'histoire de Napoléon de M. de Norvins.
(31) ALFREDO COMANDINI Il Principe Napoleone nel Risorgimento Italiano, Milano 1922, p. 9-16. (32) Su Filippo Camerata vedi D. SPADONI, "Le Marche nella rivoluzione del 1831".
(33) Le Marche nella rivoluzione del 1831 Unione Tipografica Operaia, Macerata, 1935, p. 9. (34) Pier Damiano Armandi, nato a Fusignano, il 23 febbraio 1778 e morto a Aix-Le Bains il 3 agosto 1855 è un importante personaggio che ebbe un ruolo notevole nei moti del 1831. Esiste su di lui una importante monografia scritta da Leone Vicchi "Il generale Armandi" (Imola, Galeati, 1893). Era stato nominato da Luigi educatore dei suoi figli. Fu amministratore della tenuta di Gerolamo Bonaparte, a Porto di Fermo. Ha scritto un memoriale per chiarire il proprio ruolo nei moti del 1831. Una posizione alquanto difficile, trovandosi a fare da anello di congiunzione tra i carbonari e i Napoleonidi: (si vedano) P. D. ARMANDI, Ma part aux événements importants de l'Italie centrale en 1831 Paris 1831; Lettera del colonnello Armandi, Roma, 1846. Diede luogo ad una polemica con il generale SERCOGNANI, il quale scrisse Memorie sulle ultime commozioni politiche dell'Italia Centrale, Macon 1831. Sotto il secondo Impero Armandi venne nominato bibliotecario a St. Cloud, divertendosi a pubblicare una "Storia militare degli elefanti". Vedi le note 7, 22, 29, 30 e 35 nello studio di Domenico Spadoni Fisonomia del Moto del 31 nelle Marche, pp. 1-25, in Le Marche nella rivoluzione del 1831', innanzi citata. Il ruolo di Armandi nei moti carbonari del 1831 è bene illustrato nel dettagliato studio di Domenico Spadoni Napoleonidi e Corsi nel moto italiano del 1830-31, Livorno, 1930, pp. 1-47. Altri dati su di lui si trovano in A. COMANDINI, op. cit., p. 27. Armandi è citato tra le biografie e in altre parti del testo nel volume: Gli uomini d'arme nelle campagne napoleoniche, nella collana "L'opera del genio italiano all'estero", edita dalla libreria di Stato nel 1940.
(35) ALESSANDRO OLIVIERI, è il primo amministratore della tenuta Bonaparte di Civitanova di cui ci siano state tramandate notizie di un certo interesse. Una sua esauriente biografia si trova nelle note 22 e 32 dello studio di Spadoni, innanzi citato, Le Marche nella rivoluzione del 1831. Altre note interessanti si trovano nello studio di Maria Petrini La Rivoluzione a Pesaro, ibidem p. 47, nota 56. Era intimo di Armandi, di cui era più anziano di 11 anni. Trascriviamo una sua biografia, contenuta nel volume: Gli uomini d'arme nelle campagne napoleoniche, che abbiamo citato innanzi: "Nato nel 1767 e morto nel 1847. Romano. Fu una delle più belle figure di cavaliere del primo impero. Militò nei Dragoni cisalpini, poi in fanteria; caposquadrone nei Dragoni di Napoleone, combatté in Calabria. Fu in Germania nel 1809, distinguendosi alla Raab, e sul campo di Wagram guidò i dragoni in un'epica carica, ricordata ed apprezzata dal generale Grouchy. Partecipò alla campagna di Russia, ove fu promosso colonnello. Fatto prigioniero nel 1813 in Sassonia, al rimpatrio si ritirò a vita privata. Era decorato della Corona Ferrea e della Legion d'Onore. Come tanti altri ufficiali napoleonici partecipò ai moti di Romagna del 1831. Fu poi esule a Parigi". Olivieri è citato altre cinque volte nel testo del volume sopra indicato. Si ricorda in particolare che il medesimo nella battaglia di Wagram, alla guida del reggimento di cavalleria Dragoni della Regina, caricava con tale impeto da infliggere al nemico oltre 200 perdite e catturando 400 uomini. Si descrive altresì la sua partecipazione alla battaglia di Malayaroslavets, durante la campagna di Russia; il passaggio della Beresina; la sua cattura come prigioniero durante la ritirata napoleonica dalla Sprea all'Oder, ed infine la conquista di Krainburg sotto la guida di Eugenio Beauharnais. Olivieri, prima dei moti del 1831, si era recato a Monte S. Vito, dove Ortensia aveva una tenuta di molti poderi. I Bonaparte abitarono là in un antico palazzo, che in precedenza era la residenza estiva dell'Abate dei Benedettini cistercensi (D. SPADONI, Le Marche nella rivoluzione del 1831, nota 24). Nei moti del 1831 troviamo invischiato anche un altro personaggio rilevante per la storia civitanovese: il marchese Giacomo Ricci. Vedi in proposito la nota 34 di D. Spadoni in Napoleonidi e Corsi, p. 23 e la nota 33 di Spadoni in Le Marche nella Rivoluzione del 1831, secondo cui Ricci avrebbe pubblicato a Marsiglia, nel 1831, lo scritto anonimo Cenni storici sulla sommossa del 1831 nell'Italia Centrale. (36) D. SPADONI Napoleonidi e Corsi nel moto italiano del 1830-31, Livorno 1930. D. SPADONI Fisonomia del moto del 31 nelle Marche in Le Marche nella Rivoluzione del 1831, Macerata 1935.
(37) A. CASTELOT Napoleone III, op. cit., pp. 117-178, vol. 1. (38) Ibidem p. 131, vol. 1.
(39) RINA DEL PIANO Roma e la rivoluzione del 1831, Imola, 1931. (40) Lettere di Letizia Buonaparte, a cura di Piero Misciattelli, Hoepli, Milano 1936, p. 28.
(41) A Bologna era presente il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli, figlio della Principessa Letizia Murat, cugino di Luigi Napoleone (vedi p. 189, in A. Comandini, op. cit.). (42) D. SPADONI Napoleonidi e Corsi, op. cit., p. 41.
(43) A. CASTELOT Napoleone III, cit. vol. 1, p. 161. Tale tesi è però confutata nello studio di Ercole Gaddi Pepoli "La morte di Napoleone Luigi Bonaparte a Forlì" (dai documenti di G.B. Baratti. Estratto da Forum Livii, anno IV, 6 giugno 1931). (44) Ibidem, p. 160.
(45) Ibidem, p. 164. MARIA PETRINI: La rivoluzione a Pesaro, p. 44, in "Le Marche nella rivoluzione del 1831", cit., p. nota 27. (46) ARTURO LANCELLOTTI Napoleone in famiglia, Venezia 1945, p. 131.
(47) A. CASTELOT Napoleone III, cit. vol. 1, p. 47. (48) Ibidem, p. 31.
(49) DOCTEUR CABANÈS Legendes et curiosités de 1'histoire - 2' série. (Secondo Cabanés Luigi sarebbe stato impotente dall'infanzia). Pag. 41-86 - Paris Albin Michel. (50) A. CASTELOT Napoleon 111, cit. p. 61, vol. 1.
(51) Mémoires sur Madame la Duchesse de St. Leu ex Reine de Hollande, suivis des Romances composées et mises en musique per elle meme. - Londres - chex Colburn et Bentley - 1832. (52) Mémoires de la Reine Hortense, pubblicate dal principe Napoleone, Paris 1928.
(53) A. LANCELLOTTI Napoleone in famiglia, cit., p. 140. (54) A. CASTELOT Napoléon III, cit., p. 64, vol. 1.
(55) GIOVANNI MONTI GUARNIERI op. cit., p. 351. (56) SERGIO ANSELMI op. cit., pp. 255-285.
(57) La lettera è firmata da Luigi di St. Leu, ma il testo è scritto da un segretario particolare, data la regolarità della scrittura. La lettera è in mio possesso. (58) A. LANCELLOTTI I Napoleonidi, cit., p. 328.
(59) A. CASTELOT Napoléon III, cit. vol. II, p. 73. (60) A. LANCELLOTTI I Napoleonidi, cit., p. 327.
(61) A. LANCELLOTTI Napoleone in famiglia, cit., v. il capitolo dedicato ad Ortensia, pp. 119-180. (62) A. CASTELOT Napoléon III, cit., vol. II.
(63) Ibidem, p. 143. (64) A. CASTELOT Napoléon III, vol. I, p. 144 "...du vin le plus ASCIUTTO et non sucré, melé à de 1'eau de vie, pour qu'il supporte la mer et qu'il soit au goút anglais".
(65) A. CASTELOT Napoléon 111, cit., vol. II, p. 225-299. (66) A. CASTELOT: Napoleon III, cit.
(67) Su Mathilde Bonaparte, figlia di Gerolamo Bonaparte, re di Westfalia, nata dalle seconde nozze di questi con la marchesa Giustina Baldelli, può leggersi una scheda sotto la voce Bonaparte (n. 20), nel "Dictionnaire de Biographie francasse", di Prevost e D'Amat, ed. 1954. Vedi altresì il libro di Jacques de la Faye: "La princesse Mathilde. Une nièce de Napoléon", ed. Emil-Paul Frères, Paris 1928. (68) S. DESTERNES E H. CHANDET: La vie privée de 1'Impératrice Eugènie, Hachette, Paris, 1955, p. 91.
(69) S. ZAVATTI e P. MORLACCO: Guida Storico artistica di Civitanova Marche, Civitanova Marche, 1971, p. 104. (70) Paul Hallaire è citato tra i firmatari che attestarono la solidarietà della comunità civitanovese al sindaco Giacomo Ricci, allorché questi venne accoltellato di notte da un civitanovese. I firmatari sono indicati nell'opuscolo, stampato nel 1867, "Civitanova Marche e il suo amato sindaco Marchese Giacomo Ricci". Non sappiamo in quale epoca sia venuto e fino a quando lo stesso sia stato amministratore della tenuta civitanovese. Successivamente troviamo traccia a Civitanova di un altro Hallaire, Enrico, probabilmente suo figlio, segnalato in Libertas, annuario del Comune di Porto Civitanova, anno 1, compilato dal dott. Natalucci ed altri nel 1913. Questi viene indicato come direttore dei lavori di potenziamento della centrale elettrica di S. Maria Apparente, fatti nel 1910 dalla ditta Giovanni Ribichini (pag. 27) e come facente parte della Commissione deputata al pubblico ornato, nel secondo annuario compilato da Natalucci nel 1914.
(71) ROBERTO GAETANI: Breve excursus storico sulla società operaia di Civitanova Alta, in "1867-1967" Società Operaia di Mutuo Soccorso di Civitanova Marche Alta. È una schematica e divulgativa pubblicazione, da me curata in occasione del primo centenario della fondazione della Società Operaia di Civitanova Alta. Le lettere e le foto riprodotte in quell'opuscolo furono tratte dal materiale esistente nell'archivio della Società Operaia, costituita il 6 gennaio 1867, su iniziativa di un comitato provvisorio di cittadini, presieduto dal marchese Giacomo Ricci. Per l'usanza delle corse di cavalli "Barberi" vedi: S. ANSELMI: Economia e vita sociale nelle Marche, Argalia, Urbino, p. 223. (72) SILVIO ZAVATTI: L'assicurazione dei beni di Napoleone III, Gruppo Duomo Assicurazioni, Civitanova Marche 1981.
(73) JOYCE LUSSU E ALTRI: Storia del Fermano, voi. 11, Marsilio editori, 1971, p. 277. (74) GIUSEPPE LETI: Roma e lo Stato pontificio dal 1849 al 1870, Ascoli Piceno, 1911, voi. 1, p. 132. Nel 1864, ad iniziativa del sindaco di Fermo, marchese Trevisani, vennero adottati al Montani i programmi delle scuole francesi di Angers, Chalons ed Aix, chiamando dalla Francia, a direttore generale, 1'ing. Hyppolite Langlois e, a direttore delle officine, l'ing. Ernest Hallié.
(75) A. CASTELOT: op. cit., voi. V, p. 200. (76) Civitanova nel primo centenario della sua elevazione a città, opuscolo edito nel 1928, dal Podestà, Conte Pieralberto Conti, pp. 19 e 26.
(77) L'immagine si trova nell'attuale appartamento di Giovanni Gattafoni e della ins. Anna Ripari, in via A. Caro, di Civitanova Alta. Le stanze facevano un tempo parte del palazzo dell'Amministrazione Bonaparte. (78) Il telegramma suddetto, segnalato in J. AUTIN: L'impératrice Eugènie, ou l'empire d'une femme, Fayard, Paris 1990, p. 301, è stato da me trascritto dagli Archivi nazionali di Parigi, ove è classificato nel reparto microfilms, sotto il codice 400 AP 51.
(79) Eugènia aveva successivamente rinunziato ai propri diritti successori sulla tenuta, a favore del figlio Louis-Napoléon-Eugène. (80) DESTERNES E CHANDET, op. cit., p. 266.
(81) DESTERNES E CHANDET, op. cit., p. 274. (82) GIOSUL CARDUCCI: Odi Barbare, Libro I, in "Poesie di Giosuè Carducci", Zanichelli, Bologna 1955, p. 871.
(83) DESTERNES E CHANDET, op. cit., p. 269. (84) Per approfondire la conoscenza del "principe Napoleone" suggeriamo il libro di ALFREDO COMANDINI: op. cit., oltre le schede n. 21, (voce "Bonaparte"), in PREVOST e D'AMAT: Dictionnaire de Biographies francaises, 1954. A pag. 5 del libro di Comandini viene spiegata l'origine dell'appellativo "Plon-Plon": un soprannome infantile che avrebbe questa giustificazione. A Roma la "Grand- Mère" di tutti i Napoleonidi, Madama Letizia Ramolino, circondata dal brusìo di tanti nipotini, gli chiese come si chiamasse - "Et toi comme tu t'appelles, toi"- - ed egli rispondeva sorridente: "Plon-Plon". Il nomignolo, che nella loquacità infantile si era creato da sé, piacque a molti storici per alludere al fatto che egli fosse rimasto un ragazzino scioccherello.
(85) Su Eugenia, oltre i libri che abbiamo già indicato possiamo segnalare: FRÉDERIC LOLIÉE: La vie d'une impératrice, Librarie Félix Juven, Paris, 1907; ... WILLIAM SMITH: Eugénie: Imperatrice et femme, Oliver Orban, 1989; ... OCTAVE AUBRY: Les dernières années de I'Impératrice Eugènie, Flammarion. ROBERTO SENCOUR: L'imperatrice Eugénie, ed. Treves, Milano 1932. (86) Una cronaca di questa visita è stata fatta da Domenico Natalucci, nel giornale "II Pico", che il medesimo curava all'epoca a Civitanova. Si tratta del padre del dott. Giuseppe Natalucci, un tipografo pieno di passione per la stampa e la pubblicistica. La trascrizione di quella cronaca è riprodotta a p. 72 di uno degli annuari civitanovesi, compilati in seguito dal figlio.
(87) Sono in possesso di una copia di questo contratto, stipulato a Milano il 19 ottobre 1884, tra il conte Marco Arese, procuratore generale per l'Italia dell'imperatrice, ed il Tebaldi. La copia originale era in mano alla famiglia del marchese Paolo Ricci. La famiglia Arese ha avuto una lunga tradizione di contatti con i Napoleonidi. Il conte Francesco Arese, milanese, era uno degli amici di Napoleone III. Per conoscere a fondo la sua figura basta leggere il libro di ROMUALDO BONFADINI: Vita di Francesco Arese, con documenti inediti, p. 546, Torino, 1894. Un sunto della sua biografia si trova in Gli uomini d'arme delle campagne napoleoniche, nella serie "L'opera del genio italiano all'estero", p. 290. Marco Arese, il plenipotenziario di Eugenia, era il figlio di Francesco. L'ing. Giacinto Tebaldi, nato a Fano e morto a Civitanova il 7 febbraio 1892, a 74 anni, era figlio di un altro Giacinto, probabilmente originario di Loreto. Sposò Niccolina Bruscolini, nata a Loreto il 14 marzo 1822 e deceduta a Civitanova il 15 gennaio 1909. Una foto di Giacinto Tebaldi si trova a pag. 15 dell'opuscolo: Cinquantenario della liberazione delle Marche, commemorazione tenutasi a Loreto, il 2 ottobre 1910, pubblicato a ricordo del contributo dato dai loretani alla battaglia di Castelfidardo. Dalla circostanza dovremmo dedurre che il nostro amministratore abbia preso parte a tale battaglia, anche se non viene citato nel testo degli articoli. Nel vecchio cimitero di Civitanova Alta esiste ancora una lapide, con fotografia di Giacinto Tebaldi, nella cappella personale di questa famiglia. (88) Celso Tebaldi, nato a Loreto il 28 dicembre 1856, morì a Civitanova il 18 gennaio 1918, all'età di 82 anni. Ebbe come cognato il senatore Scalini, uomo politico della Lombardia. Sua moglie fu infatti Giuseppina Scalini, nata a Como il 25 gennaio 1862 e deceduta a Tradate il 24 settembre 1941. Un dettagliato resoconto dei suoi funerali è riportato sul n. 3 del periodico provinciale "L'Unione", del 1918. Il giornale "La Democrazia", dell'8 luglio 1906, riporta la cronaca di una visita degli studenti della scuola superiore di Agricoltura di Milano alla tenuta Bonaparte di Civitanova. 1 giovani, accompagnati da cinque professori, "passarono tutta la giornata in campagna, prendendo nota di tutto, osservando ed esaminando tutti i miglioramenti che il Tebaldi, sulla base degli ultimi postulati scientifici, ha saputo e voluto introdurre in questa Regione che, fino a pochi anni orsono, era coltivata con metodi assolutamente primordiali". Nella cronaca si racconta ancora che i giovani "notarono la razionalità dei sistemi colturali, fermando specialmente la loro attenzione sugli avvicendamenti agrari [...] ammirando la perfezione della lavorazione dei terreni, praticata con macchine ed attrezzi agrari perfezionati, la costruzione delle case coloniche, fatta secondo le regole volute dall'igiene agricola, la stazione di monta taurina e l'allevamento equino". Al momento del ricevimento, a Villa Eugenia, il prof. Alpe, direttore della scuola di Milano, levando il bicchiere in onore di Tebaldi lo salutò, non "solo a nome della Scuola di Milano, ma anche a nome dell'Agricoltura italiana". Celso Tebaldi ha avuto due figli: Giacinto ed Elena. Giacinto, nato a Civitanova il 27 maggio 1897, tenente di artiglieria, sembra essere stato un giovane spensierato, amante delle auto da corsa e della vita di mondo, insomma, quello che oggi si potrebbe definire un "play boy". Non avendo voluto coltivare gli studi, si dedicò ad un'impresa di ceramiche a Potenza Picena, che non sembra abbia però avuto molta fortuna. Essendo amico di un componente della famiglia dei Marchesi Antici di Recanati, si trasferì con questi in Brasile, dove fece il rappresentante dell'Alfa Romeo. Alla morte dell'amico Antici, Giacinto ne sposò la moglie: Tersilla Vella, che aveva già avuto dei figli con il marchese Antici. Giacinto si era negli ultimi anni trasferito a Sagliano Micca presso Vercelli, paese d'origine della moglie, ove è deceduto il 1 novembre 1983. L'altra figlia di Celso: Elena, risiede ad Ascoli Piceno, ove si è sposata con Alberto Silvestri. La documentazione di famiglia sull'attività di Celso Tebaldi era stata affidata a questa figlia e riposta in varie casse, purtroppo non custodite come meritavano. La famiglia Tebaldi è tuttora rimasta molto legata al civitanovese conte Carlo Sabatucci, che funge da fiduciario della stessa a Civitanova.
(89) Sulla figura del Marchese Paolo Ricci, sindaco di Civitanova e deputato al Parlamento per diversi mandati, possono essere letti due miei studi pubblicati nelle precedenti edizioni di "Civitanova immagini e storie", e precisamente.: "Una Dynasty' dell' ottocento: il ramo civitanovese dei marchesi Ricci", sul n. 1 (pag. 13), e "Paolo Ricci e la tranvia Civitanovese. Una disputa del primo novecento", sul n. 2 (pag. 59). (90) Sulla famiglia Conti esiste una rievocazione fatta da Livia Brillarelli in "Civitanova: immagini e storie", pag. 83.
(91) Vittorio Napoleone nacque a Meudon nel 1852 e morì nel 1926, a 64 anni. Quando venne designato nel 1879 pretendente al trono imperiale, a dispetto dei diritti del padre, detto il "principe Napoleone", ebbe discussioni vivissime con questi, tanto che nel 1884 fu costretto ad andar via di casa. Da quel giorno il partito bonapartista ebbe due capi e ogni tentativo di conciliazione fu vano. Il "principe Napoleone", alla sua morte, nel 1891, aveva diseredato il figlio, designato come "traditore e ribelle", e indicato quale pretendente il nipote Louis, attuale principe Bonaparte in carica. Esiliato nel 1886, Victor si trasferì in Belgio, dove fece della sua casa un museo di reliquie napoleoniche, senza mai riuscire a caratterizzarsi come uomo d'azione politica. Innamorato nel 1905 della principessa Clementina del Belgio, poté sposarla soltanto nel 1910, alla morte di re Leopoldo, nel castello di Moncalieri. Dall'unione nacquero due figli: la principessa Maria Clotilde, nel 1912, ed il principe Louis-Jérome-Victor-Napoléon, nel 1914. Durante la prima guerra mondiale domandò invano di servire nell'armata francese e dovette limitarsi ad assecondare le opere assistenziali organizzate dalla moglie, con la quale si era trasferito in Inghilterra, ospite di Eugenia. Un suo ritratto si trova nella casa natale di Napoleone ad Ajaccio. (92) Mémoires de la reine Hortense, publiés par le prince Napoléon. L'edizione, con note ed introduzione di Jean Hanoteau, è stata pubblicata dalla Librairie Plon nel 1928.
(93) In tal senso la nota, a firma D.G. (Dante Gaetani, mio zio), nell'opuscolo: "Cluana Calendario", annuario del comune di Civitanova, edito nella nostra città nel 1929, pag. 230. (94) In occasione della sua venuta a Civitanova il principe Lou'ìs, un ragazzotto alto circa due metri, venne accompagnato dal tassista Agostinelli a visitare tutte le proprietà. Nella circostanza il principe visitò anche le suore domenicane a Civitanova Alta. Il casolare, dinanzi al quale è stata scattata dal comm. Gino Pennesi la foto che riproduciamo nel contesto dello scritto, è oggi di proprietà della famiglia Marsili, una delle più note e politicizzate famiglie di coltivatori della zona. A sinistra del principe la foto rappresenta Marone Marsili, che fu sindaco socialista a Civitanova Alta prima del fascismo, dopo la prima guerra mondiale. Vice sindaco in quell'amministrazione era Germano Baiocco. Nella nostra foto sono stati ingranditi i personaggi principali: alla destra del principe è riconoscibile il colonnello Villasanta, che fungeva all'epoca da dirigente generale dell'Amministrazione Bonaparte. Alla destra di questi, i fattori Butteri e Biondi. Tra Marsili e il tenente, sulla destra, è rappresentato il perito agrario Clorindo Scapecchi, che sotto Villasanta gestiva in concreto la tenuta. La foto completa è conservata da Nello Marsili, ex consigliere comunale socialista agli inizi degli anni sessanta e riproduce, oltre a varie donne che abitavano la zona del "Casone", Ulderico Marsili, padre di Nello, ed i giovani figli di questi, Girio e Nello, quasi coetanei del principe. I Marsili erano in particolare considerazione dell'amministrazione della tenuta in quanto uno zio di Nello Marsili, Nazzareno, era stato aiuto di Tebaldi e quindi facente funzione di amministratore della tenuta, prima della venuta del toscano Scapecchi. A Scapecchi successe come amministratore l'ing. De Rham, uno svizzero che abitò a Villa Eugenia per circa 10 anni, dal dopo guerra al 1955.
(95) Non ho potuto trovare la copia del "Giornale d'Italia" cui risponde Pinolini, mentre è disponibile presso la Biblioteca di Macerata l'annata de "L'azione fascista", da cui abbiamo tratto le citazioni riportate. Si tratta dell'edizione del 9 maggio 1931. (96) Il principe Louis-Napoléon vive abitualmente nel castello di Prangins, una dimora appartenuta al nonno "Plon-Plon". Dal 1979 il Principe ha trasmesso agli "Archives nationales de France" tutte le sue carte private, come ci è stato comunicato con lettera dal suo attuale segretario.
(97) L'attuale principe Bonaparte, durante l'ultima guerra mondiale viveva in esilio in Svizzera, circostanza questa che gli aveva impedito di partecipare all'ultima guerra nell'esercito francese, come aveva richiesto. Nel 1940, sotto il nome di Blanchard, si arruolò nella Legione Straniera, senza poter però partecipare al conflitto mondiale, per il soprag giungere dell'armistizio. Venne arrestato nel corso di un drammatico passaggio per i Pirenei e condotto per 4 mesi dalla Gestapo nella prigione di Fresnes. Collaborò quindi nella Resistenza col nome di Monnier, ricevendo vari riconoscimenti onorifici, che gli valsero, nel 1950, l'abrogazione della legge sull'esilio. Ha sposato nel 1949 Alice de Foresta, gentil donna provenzale, dalla quale sono nati i gemelli Carlo e Caterina (1950), Laura (1952) e Girolamo (1957). Fra questi giovani si trova chi, alla morte di Louis, verrà chiamato a rappresentare ufficialmente i Bonaparte. Per una sommaria storia della famiglia Bonaparte si può consultare lo scritto di JEAN THIRY, Le grandi dinastie, Mondadori, Milano 1976, p. 311. (98) Jacques Soustelle, reputato etnologo, specialista dell'America pre-colombiana e componente dal 1938 dell'Accademia di Francia, fu anche un discusso uomo politico. Tra i fedelissimi di De Gaulle nell'immediato dopo guerra, fu nominato Governatore generale dell'Algeria, nel 1955, da Mendes-France. Quando nel 1958 De Gaulle tornò al potere, orientandosi a concedere l'indipendenza all'Algeria, si affiliò all'OAS, l'organizzazione terroristica spalleggiante i generali che avevano fatto il "putsch" ad Algeri nel 1961. Passato nella clandestinità, sotto il nome di Jean Albert Seneque, venne espulso dal l'Italia, ove venne riconosciuto a Milano, durante un viaggio in incognito. Dopo sette anni di esilio rientrò in Francia nel 1968, dove venne eletto deputato del Rodano, all'assemblea nazionale del 1973. Ebbe alcuni incarichi di carattere internazionale da Giscard d'Estaing. È morto nell'agosto 1990, all'età di 78 anni.
(99) Jacques Bidault, nacque a Moulins nel 1899. Professore di storia, si è occupato di varie associazioni cattoliche, nel periodo tra le due guerre. Nel 1943 fu nominato presidente del C.N.R. e divenne ministro degli esteri di De Gaulle nel dopoguerra. Più volte deputato, è stato presidente della MRP, giocando un ruolo di primo piano nella IV repubblica. Nel 1958 si impegnò per il ritorno al potere di De Gaulle, salvo poi rivoltarglisi contro, quando lo vide ostile a sostenere la tesi dell'Algeria francese. Passato in clandestinità si rifugiò in Brasile. È deceduto negli ultimi anni. (100) Luigi Serafini è stato lanciato alla ribalta come "designer" da due volumi, apparsi nella serie "I segni del tempo", edizioni Franco Maria Ricci. Si tratta del "Codex Seraphinianus", opera ricolma di disegni assurdi e paradossali, denotanti una singolare propensione all'inventiva. Si è quindi dedicato all'arredamento, allestendo "la casa del dottor Fausto", una delle pertinenze di Villa Eugenia, a proposito della quale venne presentato un servizio fotografico in "Casa Vogue". Vittorio Sgarbi, commentando questo lavoro di Serafini, sull"`Europeo" del 4 ottobre 1986, conclude affermando: "Ringraziamo il dottor Fausto di aver fatto costruire questa meraviglia per la sola gloria di Dio". Per motivi di spazio abbiamo omesso le tante interessantissime fotografie collegate al presente studio. (NDR)
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