NON PRAEVALEBUNT (da pag. 310 a pag. 313)
LA LEGGENDA DI PALAZZO CORRADUCCI - RIFLESSI A CAMERANO DI MASSONERIA E CARBONERIA
Una singolare leggenda è quella raccontata da alcuni vecchi Cameranesi a proposito di Palazzo Corraducci. Al tempo in cui a Camerano c'erano i Francesi, la nobile famiglia dei conti Corraducci aveva tra il personale di servizio una giovane cameriera, molto intelligente e coraggiosa, la quale una notte salvò da un attentato mortale i suoi padroni. Verso sera aveva bussato al portone del palazzo un distinto signore forestiero che chiese ospitalità per la notte. Erano tempi difficili, ma il Conte concesse l'ospitalità richiesta poiché così era costume in quel tempo tra persone di un certo rango. Il forestiero si trattenne a cena e conversò amabilmente con i suoi ospiti, ma era costantemente tenuto d'occhio dalla giovane cameriera dei Corraducci la quale, nel portare i suoi bagagli nella camera degli ospiti, si era accorta che questi erano eccessivamente pesanti. Insospettita, sbirciando all'intemo del bagaglio, si accorse che vi erano contenute armi ed altri oggetti strani. Non disse niente ai suoi padroni, ma decise di sorvegliare il forestiero. Dopo cena questi si ritirò nella sua stanza e la cameriera lo seguì di nascosto cercando di spiare le sue intenzioni. Egli aspettò che tutti nella casa fossero andati a dormire, poi estrasse dalle sue borse le armi e si mise ad accendere, una dopo l'altra delle strane candele, tante quante erano le persone che si trovavano quella notte nel palazzo. Tali candele, spiegava la misteriosa leggenda, erano "speciali", fatte cioè "con grasso umano" ed avevano la magica proprietà di impedire che la persona addormentata per la quale la candela veniva accesa, si risvegliasse fintante che la stessa non avesse finito di ardere. Tutte le candele si accesero meno, ovviamente, quella dedicata alla cameriera la quale, ben sveglia, continuava a spiare le mosse del forestiero. Questi, dopo vari inutili tentativi, non diede importanza alla cosa e pensò che, a non dormire nel cuore della notte, fosse soltanto uno dei bambini della casa e passò all'azione che si era prefisso. Preparate le armi, uscì dalla sua camera e, cercando di non far rumore, scese le scale sempre seguito nell'ombra dalla coraggiosa cameriera. Giunto al portone del palazzo, lo aprì e, affacciatesi fuori, chiamò con un fischio alcuni compiici che attendevano il suo segnale. Fu a questo punto che la cameriera, con grande decisione, si gettò sul portone e, sfruttando la sorpresa spinse all'esterno il forestiero, richiudendo fuori lui e tutta la sua banda. Risalita in camera, spense le magione candele e potè così risvegliare il conte ed i suoi familiari. Dato l'allarme, gli sconosciuti si misero in fuga, vedendo sventato il loro piano. Il conte, conclude la leggenda, appena si rese conto di quanto era accaduto e del rischio mortale che aveva corso con la sua famiglia, non trovò parole adeguate per esprimere la sua gratitudine alla coraggiosa ragazza che da quel giorno rimase per sempre nel palazzo non più come serva, ma come una persona della famiglia. Questa strana leggenda, al di là dei fiabeschi e magici particolari, ci riporta al misterioso periodo delle cospirazioni e degli intrighi delle Società Segrete che probabilmente coinvolsero i Corraducci. Fonti orali raccontano che durante certi lavori di sistemazione in un'aia dell'antico palazzo, i muratori rinvennero in una parete una nicchia murata nella quale erano nascosti vecchi libri. Si disse che persone "istruite" li esaminarono e stabilirono che si trattava di libri "scritti in francese e di contenuto proibito", libri, sembra, dei tempi della Massoneria e della Carboneria che erano stati nascosti, probabilmente nel periodo della Restaurazione, dopo che i Corraducci, aderendo alle idee rivoluzionarie importate dalla Francia, avevano compromesso i loro rapporti col Governo Pontifìcio. Questa famiglia, originaria di Macerata, aveva rapporti con la nobiltà di Osimo e con quella di Filottrano: in particolare con quel conte Vincenzo Gaetano Gentiloni che aveva alzato l'albero della libertà anche dopo il ritomo del Pontefice e che, come si è detto, il 24 giugno 1817 aveva dato inizio a Macerata ad una cospirazione Carbonara, per poi essere, l'anno successivo, arrestato e rinchiuso nelle carceri papaline in attesa di un severo processo. Nel suo casino di campagna avvenivano numerosi segreti incontri e convegni di congiurati che tramavano contro il ripristino dello Stato della Chiesa e auspicavano uno Stato indipendente ed una Costituzione anche per le Marche. Questi nobili cospiratori, numerosi nelle nostre contrade, erano soliti portare, per farsi riconoscere tra loro, simboli massonici e carbonari appesi alla catena dell'orologio. La cospirazione del 1817 dì cui si è detto nelle pagine precedenti, non fu l' unica. Nel 1831, il 1° marzo, nella casa di Domenico Schelini già aderente alla prima congiura, si formava il primo nucleo della Giovane Italia cui aderirono molti personaggi di Ancona e dintorni. Lo Schelini aveva proprietà nel contado di Camerano. A causa dei gravi disordini scoppiati in quegli anni, il Delegato Pontificio Monsignor Fabrizi stabilì ìa sua sede in Osimo, ove si trasferì protetto dai suoi gendarmi. La sera del 23 maggio 1832, alle 22 circa, veniva ucciso in via Pizzecolli il Gonfaloniere di Ancona Girolamo de Bosdari che i Carbonari odiavano particolarmente per il suo intransigente attaccamento al Papato. Mentre rientrava a casa dopo uno spettacolo teatrale, fu assalito e pugnalato da due sconosciuti. L'episodio fece scalpore e giunse fino a Roma, e il Papa stesso ordinò che venissero ad ogni costo ritrovati ed esemplarmente puniti i colpevoli. Iresponsabili furono ad ogni costo trovati in Mariano Bevilacqua e Lorenzo Tonelli, entrambi di idee Carbonare e sovversive, e, pur non essendo provata la toro colpevolezza, furono egualmente condannati a morte con sentenza del 18 marzo 1833. Lorenzo Tonelli, nativo di Fano, 38 anni, era di mestiere capomastro muratore. Bevilacqua Mariano di Luigi e di Caterina Paponi, cameriere disoccupato, aveva 26 anni. Nato a Pietralacroce il 2 febbraio 1807, era sposato e padre di due figli. Era stato denunziato al Delegato di Polizia, sembra, da uno "speziale" (farmacista) al quale si era rivolto per farsi medicare una ferita da arma da taglio. La mattina del 26 marzo 1833, alle 7,30, furono condotti fuori Porta Calamo, nell'area attualmente occupata da Piazza Roma chiamata, allora Gioco del Pallone. Furono fucilati alle spalle dai soldati papalini. Il Bevilacqua chiese i conforti religiosi, mentre il Tonelli li rifiutò. Entrambi affrontarono con dignità il destino che era stato per loro preparato. Dopo la scarica che li uccise i loro corpi vennero sepolti nel Cimitero dei Cappuccini. A Camerano, in questo stesso tempo, cominciava il declino dei Corraducci, "puniti" per la loro adesione alla Rivoluzione prima ed alla Carboneria poi. Ma fucilazioni, rappresaglie, prigioni non servirono granché alla "patema sollecitudine per il bene dei popoli che la Divina Provvidenza aveva affidato al temporale Governo" di Sua Santità. Il 3 giugno nella stessa Ancona circa 1500 persone effettuarono una clamorosa dimostrazione, chiedendo riforme radicali. Le vetrate infrante nel palazzo del Vescovo Cardinale Nembrini, riparato nella sua residenza di campagna, furono il segno che il Mettermeli, il Rè di Napoli e Sua Santità, sconfitto Napoleone, avevano di fronte a loro un nemico ben più agguerrito: il popolo con i suoi problemi quotidiani, ma soprattutto con il suo irrefrenabile desiderio di libertà. Fu scritto "non praevalebunt", ma l'Impero Austro-ungarico, il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa uno dopo l'altro caddero. E così tutti i successivi poteri più o meno autoritari. Ma la storia a qualcuno non ha insegnato niente, se nuovi rigurgiti dispotici ancor oggi emergono. Non ha insegnato niente soprattutto a chi della storia ne fa una vuota fila di libri dalle rilegature omogenee, in inutili biblioteche. Ci sono sempre pronti zelanti Delegati di Polizia e benpensanti speziali che aspirano a diventare a loro volta "Rè di Napoli" o "Loro Santità", sempre pronti a chieder conto, incarcerare o fucilare i nuovi carbonari, quando non dispensano addirittura buoni consigli. Ma anch'essi si sgretoleranno, poiché è sempre l'uomo che vince: la sua libertà, la sua fantasia, la sua poesia; ed è per questi valori che in realtà fu scritto "Non praevalebunt".
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